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PROPRIETÀ LETTERARIA

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I giudici naturali di cui parla l'art. 71 dello Statuto, non sono la stessa cosa dei giudici ordinarii. I Tribunali straordinarii di cui lo Statuto vieta la creazione, sono quei Tribunali che per il loro modo di essere o di funzionare, contrastano con taluno dei principii fondamentali su cui, per lo Statuto stesso e per i dettami della scienza universalmente ricevuti, riposa la retta amministrazione della giustizia. Così è straordinario quel Tribunale che manchi di permanenza e di universalità, i cui giudici sieno amovibili, e presso il quale la natura dei rimedii non sia conforme agli ordinamenti costituzionali.

L'art. 71 dello Statuto colla locuzione non potranno essere creati Tribunali e Commissioni straordinarie, non provvide solo all'avvenire, ma colpì le Commissioni straordinarie preesistenti alla sua promul gazione (1).

La parte sostantiva di una legge, quella cioè che attribuisce diritti, non forma una cosa sola colla parte rituale con cui si prescrive il modo di esercitarli.

Il motuproprio toscano del 15 luglio 1840, che decretò l'affrancazione coattiva di tutti i terreni del terri

(4) Per l'applicazione dello stesso principio si vedano le sentenze : Torino, 28 giugno 1848 (I, 2, 581) e 31 ottobre 1830 (II, 2, 15); Nizza, 24 gennaio 1851 (III, 2, 89); Genova, 18 dicembre 1855 (VII, 2, 975).

torio di Piombino, nella parte in cui costituì una giurisdizione speciale fu abolito dallo Statuto.

Sul merito del ricorso:

Considerando che un motuproprio toscano del 15 luglio 1840 decretò l'affrancazione coattiva di tutti i terreni posti nel territorio di Piombino dai vincoli delle servitù civiche di pascolo e del legnatico, ed istituì contemporaneamente una giurisdizione ed un procedimento speciali, sia per constatare quali fossero i fondi servienti, sia per determinare il prezzo delle affrancazioni, sia per ripartire questo prezzo fra i singoli possessori dei fondi affrancati. - La giurisdizione speciale di risolvere tutte le dispute che su questi tre punti potessero nascere tra gli interessati venne delegata ad una Commissione stabilita in Grosseto e composta del Commissario regio, del Presidente del Tribunale di prima istanza e del regio Procuratore di quella provincia. Le forme speciali del procedimento erano che, a cura del Governo, si compilassero due prospetti, l'uno contenente la indicazione dei fondi soggetti a servità, e l'altro il prezzo complessivo di affrancazione; che poi da tre periti si procedesse a ripartire questo prezzo tra i singoli possessori dei fondi affrancati; e che tanto i prospetti, quanto le perizie di riparto si depositassero nelle rispettive cancellerie comunitative, acciocchè gl'interessati potessero averne comunicazione, e se lo credessero, opporsi e reclamare. E, dove essi si opponessero o reclamassero, delle loro opposizioni e reclami doveva conoscere e giudicare (prese le

notizie ed informazioni, e commesse le verificazioni che știmasse opportune) la Commissione speciale, senza alcuna solennità di giudizio, senza pubblicità di discussione, senza rimedio ordinario di appello, e col rimedio straordinario del ricorso al principe, nel solo caso però, in cui le decisioni della Commissione si riferissero ai prospetti del Governo.

Considerando che, essendo stata nell'ottobre dell'anno 1862 depositata, secondo le forme prescritte dal motuproprio del 1840, nella cancelleria del comune di Piombino una perizia concernente il prezzo di affrancazione di alcune tenute spettanti al cav. Francesco Franceschi, conte Luigi Franceschi e Giovanni Desiderj, ed avendo i signori Franceschi e Desideri richiesto per gli atti del Tribunale di Grosseto che

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quella perizia venisse depositata, secondo la legge di comune procedura, nella cancelleria del Tribunale medesimo, e che ne fosse poi a suo tempo decretata la nullità ed ingiustizia, il Comune si oppose a siffatta domanda, deducendo che, non avanti i Tribunali ordinari, ma sibbene avanti la Commissione istituita dal motuproprio del 1840, e col procedimento quivi stabilito, dovevano portarsi, trattarsi e risolversi le dispute che intorno all'attendibilità della detta perizia ai signori Desiderj e Franceschi piacesse di promuovere. D'onde nacque e si contestò tra le parti una disputa pregiudiciale di competenza, la quale, risoluta a pro del Comune dal Tribunale di prima istanza di Grosseto, e a pro dei signori Desiderj e Franceschi dalla Corte di appello di Firenze, viene oggi riproposta, in seguito del ricorso interposto dal Comune, avanti la Corte Suprema, ed è la seguente: - Se la Commissione giudicante, istituita col motuproprio del 15 luglio 1840, fosse anche oggi da ravvisarsi una legittima istituzione giudiziaria dello Stato, o se invece questa istituzione fosse rimasta abolita fino dal giorno in cui venne pubblicato anche nelle provincie toscane lo Statuto costituzionale del Regno, che vieta la creazione di Commissioni e Tribunali straordinarii.

Considerando che per tre distinti motivi e fondamenti il ricorso sosteneva, contro quello che avea deciso la denunziata sentenza, che la Commissione istituita col motuproprio del 1840 fosse anche oggi un Tribunale legittimo, ed anzi il solo competente a giudicare delle cause di affrancazione del territorio di Piombino: i quali motivi e fondamenti erano:

1o Che quella Commissione non apparteneva alla categoria dei Tribunali straordinarii;

2o Che, quando pure quella Commissione fosse stata un Tribunale straordinario, lo Statuto non avea inteso di abolirla, ed anzi l'aveva espressamente conservata;

3o E che in ogni modo, essendo il motuproprio del 1840 una legge individua, come rimaneva ed era intangibile la parte statuente e dispositiva, cosìi doveva mantenersi la parte rituale ed esecutiva.

Sul primo motivo di merito:

Considerando che l'art. 71 dello Statuto, proclamando una della più grandi guarentigie per le persone e per le proprietà dei cittadini, dispone che nissuno può venire distolto dai suoi giudici naturali, e che non possono perciò essere creati Tribunali o Commissioni straordinarie.

Considerando che, mentre ambedue le parti contendenti invocavano a sostegno del rispettivo assunto la disposizione surriferita, il dissidio tra loro, e quindi tutto il momento della controversia, stava nei criteri, d'onde ha da desumersi quale veramente, secondo la lettera e lo spirito dello Statuto, sia da aversi come Giudice naturale, e quali perciò veramente siano i caratteri del Giudice straordinario.

Considerando che, per stabilire con esattezza e sicurezza questi criteri, intorno a' quali s'incontrano larghe e dotte ricerche negli scrittori di gius pubblico, ed erano state gravi e solenni discussioni anche nel Parlamento italiano, occorreva eliminare innanzi tutto due concetti, che certamente non erano da seguitarsi nella materia.

Non poteva ammettersi il concetto che Giudice naturale fosse solamente il Giudice ordinario e che perciò per lo Statuto fossero Tribunali straordinarii tutti quelli che non erano Tribunali comuni; perchè con questo criterio si andrebbe alla esclusione ed abolizione di tutti i Tribunali speciali (Tribunali commerciali, Tribunali delle prede, Tribunali amministrativi ed altri simili), i quali d'altronde, se differiscono dai Tribunali ordinariie comuni nella sfera della competenza, non

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per questo, dove siano intrinsecamente organati secondo i principii fondamentali di giustizia e di libertà, possono confondersi coi Tribunali straordinarii, nè i Giudici che li compongono cessano di appartenere ai Giudici naturali.

E nemmeno poteva ammettersi l'altro concetto (che era quello specialmente propugnato dalla parte ricorrente, e che anzi costituiva il principal fondamento del primo motivo del suo ricorso), che cioè i Tribunali straordinarii, secondo lo Statuto, fossero soltanto quelli creati dal potere esecutivo per giudicare di fatti anteriori ed in materie criminali e politiche. Resisteva a questo concetto la lettera dello Statuto, che vieta la istituzione di Tribunali e Commissioni straordinarie senza distinzione nè di origine, nè di materia.

Vi resisteva evidentemente anche lo spirito, che era quello non solo di assicurare da ogni abuso ed eccesso di potere la vita e la libertà dei cittadini nelle materie criminali e politiche, ma eziandio quello di porre sotto la salvaguardia dei Giudici naturali anco il diritto di proprietà che lo Statuto medesimo dichiara inviolabile senza alcuna eccezione, e che potrebbe esser messo in pericolo con le avocazioni, con le delegazioni e con la istituzione di Commissioni straordinarie civili.

Vi resisteva la giurisprudenza di questa Corte Suprema, la quale col suo decreto del dì 11 agosto 1860 dichiarò che l'articolo 71 dello Statuto garantiva ai cittadini di non essere distolti dai loro Giudici naturali sì per le azioni civili, che per le azioni penali, e disse abolita, come straordinaria la giurisdizione attribuita dalla legge toscana del 3 gennaio 1859 ai delegati di governo di giudicare e punire una trasgressione; venendo in questa sentenza, sebbene la giurisdizione straordinaria fosse creata dal potere legislativo e non dal potere esecutivo, e i fatti da giudicarsi fossero fatti futuri.

Considerando che, eliminati i due surriferiti concetti, i quali non potevano servire di giusto criterio alla risoluzione della controversia, era sembrato alla Corte Suprema che il criterio più vero e più giusto fosse il seguente: che sotto il nome e il divieto di Commissione o Tribunale straordinario venga ogni Tribunale il quale, o nel suo modo di essere, o nel suo modo di funzionare contrasti con uno o più dei principii fondamentali, sui quali, e per lo Statuto e per i principii della scienza universalmente ricevuti, riposa la retta amministrazione della giustizia.

Considerando che, esaminata con questo criterio la Commissione istituita col motuproprio del 15 luglio 1840, era evidente che mancavano in essa almeno tre caratteri, senza i quali non può esservi legittima istituzione giudiziaria, vale a dire:

1o La permanenza e la universalità del Tribunale; 2o La inamovibilità dei Giudici;

3o La natura dei rimedi conforme agli ordinamenti costituzionali.

Considerando che, come la permanenza e la universalità sono il carattere di ogni Tribunale legittimamente istituito, o sia Tribunale comune o Tribunale speciale, così la temporaneità della istituzione, e la giurisdizione ristretta a certa categoria di affari ed a certe località, sono il carattere del Tribunale straordinario; e temporanea appunto e non universa, e perciò straordinaria, è da ritenersi la Commissione giudicante istituita col motuproprio del 1840, ognorachè ad essa era stata delegata la potestà di giudicare non di ogni causa di affrancazione coattiva, non in ogni parte del territorio toscano, non tra qualsiasi persona, ma solo delle cause, e finchè durassero le cause di affrancazione coattiva nel territorio di

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Piombino e tra quei proprietari che un tempo erano soggetti alla servitù civile del pascolo e del legnatico, e gli uomini dei Comuni, i quali precedentemente godevano di quella servitù. Considerando che altro carattere essenziale dei Tribunali, legittimamente istituiti secondo lo Statuto, è la inamovibilità dei Magistrati, intangibile prerogativa, dalla quale sola può venire al poter giudiziario, insieme con la dignità, quella indipendenza che è indispensabile all'esercizio delle sue nobili funzioni, e che costituisce una delle basi fondamentali di ogni bene ordinato consorzio civile.

Considerando che anco questo essenzial carattere mancava in due dei funzionarii chiamati dal motuproprio del 1840 a comporre la Commissione giudicante del Grosseto; imperocchè al regio Procuratore, come membro del Pubblico Ministero, la legge non assicura l'inamovibilità, e il Commissario regio, al quale oggi dovrebbe sostituirsi il Prefetto, non che godere della inamovibilità dei Magistrati, non appartiene nemmeno all'ordine giudiziario.

Considerando che il rimedio del ricorso al R. Trono, concesso in alcuni casi alle parti soccumbenti dal motuproprio del 15 luglio 1840, se era concepibile ed ammissibile in un ordinamento di monarchia assoluta (nella quale avendosi il Principe come sorgente, ed anzi come la sola sorgente di ogni giustizia, può bene accadere che in qualche caso gli piaccia di delegarne a un Tribunale straordinario o anco di avocarne a se medesimo l'amministrazione) non era più attendibile dopo i sopravvenuti ordinamenti costituzionali, i quali essenzialmente riposano sulla divisione dei tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, e non consentono che il Principe in qualsivoglia modo s'ingerisca nell'amministrazione della giustizia del paese.

Considerando che non poteva giuridicamente ammettersi il provvedimento, col quale la parte ricorrente suggeriva e sosteneva che da quest'ultimo evidentissimo e non impugnato vizio d'incostituzionalità potesse sanarsi il motuproprio del 1840; il provvedimento cioè di sostituire oggi al ricorso del Principe il ricorso al Consiglio di Stato.

Bastava infatti su tal proposito, e prescindendo da molte altre considerazioni, il riflettere che il Consiglio di Stato, quale oggi è, e quale deve essere negli ordini costituzionali, mentre ha incumbenze consultive e di contenzioso amministrativo, non ha alcuna incumbenza giudiziaria in materia di gius privato; e la Corte Suprema d'altronde, se deve custodire, dichiarandole e tenendole entro i loro confini, le competenze create dalla legge, non potrebbe, senza usurpazione del potere legislativo, attribuire a qualsiasi corpo o collegio dello Stato una competenza che la legge non gli dà.

Considerando che, quando per la trasformazione politica dello Stato non era più ammissibile in materia giudiziaria il ricorso al principe (ricorso che d'altronde per la legge del 1840 costituisce l'unico rimedio attribuito in certi casi alle parti soccumbenti controle decisioni della Commissione) questo solo bastava perchè tutta la procedura speciale andasse necessariamente a cadere; imperocchè essa rimaneva perciò monca ed incompleta, e perdeva, contro la volontà medesima del legislatore che l'aveva creata, quella sola garanzia, la quale, secondo l'ordinamento politico di quel tempo, poteva giustificarne la eccezionabilità o diminuirne i pericoli.

Sul secondo motivo di merito:

Considerando che la parte ricorrente sosteneva come secondo fondamento del suo assunto, che la Commissione istituita col motuproprio del 15 luglio 1840, quando pure fosse un Tribunale straordinario, non per questo poteva dirsi abo

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lita in virtù dello Statuto costituzionale, sia perchè l'art. 71 dello Statuto medesimo, vietando la creazione di Tribunali straordinarii, dispone intorno ai Tribunali straordinarii futuri, e non investe i Tribunali preesistenti; sia perchè ai Tribunali preesistenti provvede il precedente art. 70, espressamente e indistintamente conservandoli finchè per una nuova legge non siano derogati.

Considerando per altro che apparivano mal fondati tanto l'argomento negativo, che a sostegno del suo concetto il ricorso traeva dall'art. 71, quanto l'argomento positivo desunto dall'articolo 70.

L'art. 71 proibisce, è vero, con locuzione che accenna al futuro, la creazione di Tribunali straordinarii «ivi non potranno esser creati Tribunali o Commissioni straordinarie ». Ma lo Statuto con questa disposizione non intese già di provvedere per il futuro ad uno piuttosto che ad un altro modo di organizzazione giudiziaria, ma bensì ad un fine più stabile, più universale e più elevato, che fu quello di sanzionare e tutelare con una delle più efficaci garanzie il principio della eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. E che sia così ne offre argomento evidentissimo l'articolo medesimo, dove la disposizione, la quale vieta per il futuro la istituzione di Tribunali o Commissioni straordinarie, non è principale, nè per sè stante, ma accessoria e conseguenziale all'altra, nella quale veramente sta la sostanza e la importanza dell'articolo, che, cioè, niuno può esser distolto dai suoi giudici naturali « ivi » niuno può esser distolto dai suoi giudici naturali: non potranno perciò esser creati Tribunali o Commissioni straordinarie ». Ora, poichè il cittadino che fosse tratto avanti una Commissione straordinaria perderebbe egualmente la guarentigia che lo Statuto gli dà di non esser distolto dai suoi giudici naturali, sia che la Commissione fosse creata dopo, sia che preesistesse alla pubblicazione della Costituzione; così la distinzione del ricorso è inammissibile, ed i Tribunali straordinari preesistenti, dove non sieno caduti per espressa abolizione, caddero tutti, tacitamente sì, ma necessariamente, per manifesta incompatibilità con uno dei principii fondamentali dell'ordine costituzionale.

Molto meno soccorreva al concetto della pretesa conservazione dei Tribunali straordinari preesistenti allo Statuto l'articolo 70 « ivi » I Magistrati, Giudici e Tribunali attualmente esistenti sono conservati ».

Egli è manifesto che lo scopo di siffatta disposizione fu, ed altro non poteva essere, se non quello di dichiarare che con la introduzione del regime costituzionale non doveva credersi abolito ogni ordine giuridico precedente, la cui modificazione non fosse immediatamente ed assolutamente reclamata da imperiose esigenze di civile libertà e da manifesta incompatibilità coi nuovi ordinamenti politici. Ma sarebbe assurdo il ritenere che con l'articolo 70 s'intendesse di conservare anco i Tribunali straordinarii; sì perchè per questi, come si è detto di sopra, non vi era bisogno di deroga espressa, rimanendo essi tacitamente abrogati per il disposto dell'art. 71; sì perchè nel linguaggio dello Statuto, sotto il titolo di Giudici, Tribunali e Magistrati, non potevano venire Corpi e Commissioni che non ne avevano il carattere e non ne offrivano le guarentigie; e sì perchè sarebbe stata strana contraddizione quella di assicurare il cittadino dalle Commissioni straordinarie future, e lasciarlo intanto in balia ed all'arbitrio delle Commissioni e Tribunali straordinarii, che per avventura preesistessero.

Sul terzo motivo di merito:

Considerando che per un altro e distinto fondamento soste

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