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PROPRIETÀ LETTERARIA

PARTE PRIMA

GIURISPRUDENZA DELLE CORTI DI CASSAZIONE

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Osserva che lo efferato brigantaggio, come quello che infelicemente desolò la Capitanata e le altre provincie napolitane, costituisce causa di molestia proveniente da forza maggiore, che talvolta impedisce al colono di servirsi della cosa locata, senza un considerevole danno.

E la molestia derivante da forza maggiore, che produce, sia la perdita materiale della cosa locata, sia l'impedimento dell'uso della cosa stessa, autorizza il colono a chiedere la risoluzione del contratto, o una diminuzione di estaglio a senso dell'art. 1568 delle Leggi civili.

Osserva però che sotto questo punto di vista guardata la quistione è più di fatto che di diritto, perchè sta nel vedere se effettivamente il colono non abbia potuto servirsi del pre

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(1) Decisioni conformi pronunciarono la cessata Camera dei Conti di Torino (2 giugno 1851, III, 5, 95), la Corte di Casale (16 marzo 1860, XII, 2, 637), e quella di Parma (13 agosto 1861, XIII, 2, 698). La distinzione fra casi fortuiti ordinarii e straordinarii fu creata da BARTOLO sulla leg. 4, § pen., ff. Si quis caut. jud., e sulla leg. 78, § ult., ff. De contr. empt., adottata da quasi tutti gli scrittori, specialmente dal MANTICA, De tacit. et ambig. conv., lib. 5, c. 8; dal MEDICIS, De casib. fort., p. II, quaest. 10, n. 40; dal DOMAT, Du louage, sect. 4, n. 6; e nonostante l'opposizione del VINNIO, Quaest. select., lib. 2, cap. 1, e d'altri civilisti, passò nei moderni Codici, accettata dai più illustri commentatori. V. DuRANTON, num. 212; Duvergier, num. 200; TROPLONG, Du louage, n. 755 ss.; DALLOZ, Rép., Louage, n. 822 ss.

dio locatogli, senza esporre la propria vita e le sue sostanze ad un danno irreparabile.

Ora il Tribunale con la sentenza impugnata non si versò affatto su di ciò, restando silenzioso su tale esame.

Credè applicabile l'art. 1619 delle dette Leggi civili per avere i coloni rinunziato espressamente a tutti i casi fortuiti. Ma avrebbe dovuto riflettere che l'applicazione di quest'articolo si circoscrive al solo caso della perdita dei frutti. Nella specie trattavasi di mancanza di cosa locata per impedito godimento di essa.

Nè quest'articolo 1619 poteva estendersi per identità di motivi, perchè il caso della perdita della cosa locata, sia per distruzione, sia per impedito godimento, è affatto diverso dalla perdita dei frutti.

Nè era del pari applicabile l'art. 1521 delle stesse Leggi civili, che riguarda il caso di molestie arrecate da individui

particolari, e non da uomini riuniti in banda armata.

Osserva che i resistenti essendo soccombenti devono le spese, art. 542 e 370 del Codice di procedura civile del Regno d'Italia.

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(7)

Rizzatto appellanti e regolarmente rappresentati, e presenti in giudizio per mezzo del loro patrocinatore, e i sig. Melfi e Scollo-Cicio, appellati dal tutto contumaci, come quelli che non aveano costituito patrocinatore, dichiarò inammessibile l'appellazione de' primi, cioè a dire sentenziò contro costoro ed in favore de' contumaci;

Che a tal sentenza non potea, sotto il pretesto che non fosse stata eseguita fra' sei mesi dal dì della pronunziazione, applicarsi l'art. 250 Codice penale 3°. Conciossiachè questo dettato di legge, e per la sua lettera e pel suo spirito, non riguarda già l'attore presente che per avventura soccomba nella contumacia del suo avversario, ma unicamente il convenuto contumace che fosse rimasto perdente, al quale potea solo attagliarsi il dubbio del non aver ricevuto la citazione e la convenienza di provvedimenti efficaci ad impedire, che dopo un giudizio ed una sentenza forse ignorata, restasse vittima della sorpresa.

Attesochè, avendo il Tribunale di Siracusa con l'impugnata sentenza riconosciuto e proclamato cosiffatta verità, e per tal ragione dichiarato che all'appellazione de' sig. Rizzatto ostasse la cosa giudicata derivante dalla predetta sentenza de 28 giugno 1854, non che offendere alcun testo di legge, uniformavasi esattamente al sópradetto art. 250, e consacrava i veri principii della materia. Ond'è che debba la dimanda de' ricorrenti respingersi, e pronunziarsi le statuizioni di conseguenza.

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Attesochè le sentenze del Tribunale di Tortona e della Corte di Casale, procedendo per via di apprezzamenti, stabiliscono, in fatto, intendere i fratelli Tavella e Giovanni Martino, non già a trasportare l'acquedotto da un punto ad un altro dei loro fondi servienti, ma bensì a liberarsi completamente dalla servitù imposta e costituita col rogito Fiamberti a favore di Angelo Martino;

Che a siffatta conclusione i giudici del merito pervennero considerando come, mentre l'attore sosteneva essere la roggia Piccinino di pubblica ragione, i convenuti non solo non avessero provato, ma neppure si fossero accinti a provare ch'essa roggia scorresse dentro la periferia dei terreni loro, e loro in alcuna guisa appartenesse;

Che, ciò posto, inopportuni affatto si presentano nella fattispecie gl'invocati art. 661 e 662 del Codice Albertino.

(8)

Il primo sotto date condizioni permette il traslocamento della servitù dentro i confini dello stesso fondo serviente, ma non si occupa del caso in cui vogliasi trasferirla al di fuori: il secondo obbliga il padrone dominante a starsene al suo titolo; ma appunto per questo non può egli essere costretto a sciogliere il fondo vincolato in virtù del suo titolo, per compenso che gli si offra, sopra un fondo diverso. Sul secondo mezzo:

Attesochè i capitoli prodotti dai ricorrenti mirano evidentemente a stabilire per mezzo di testimonii questi tre fatti: 1° Proposta di Angelo Martino ai convenuti di abbassare i loro fondi, e di sopprimere l'antico fosso irrigatorio; 2o Convenzione intervenuta, secondo la quale, tolto di mezzo il fosso, Angelo Martino avrebbe derivata l'acqua dalla roggia in un punto inferiore a quello usato fino allora; 3o Corrispettivo dato ad esso Angelo per siffatto accordo, in lire 27 50;

Che tutto questo è ben lontano dal significare, come vogliono i ricorrenti, una pura e letterale attuazione dell'acquedotto, tal quale fu pattuito nel rogito Fiamberti. Se così fosse, non era d'uopo per certo che l'Angelo Martino proponesse l'abbassamento dei terreni servienti: ultroneo sarebbe stato l'accordo sull'interramento del fosso; senz'ombra di causa giusta il corrispettivo per la immutata derivazione dell'acqua.

Non c'è via di mezzo: o quei fatti non hanno ragione di essere; oppure arguiscono un novello contratto modificativo, od anche se vuolsi spiegativo del primo.

Nell'una e nell'altra ipotesi a senso dell'art. 1412 del Codice Albertino per la efficacia della convenzione occorreva un atto pubblico.

E la Corte di Casale, rifiutando i capitoli siccome inconchiudenti, applicò giustamente il successivo art. 1413. Per questi motivi, — Rigetta, ecc.

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(9)

Che lo stesso Codice dopo avere stabilito all'articolo 77 che le parti dinanzi ai Giudici di Mandamento dovessero comparire personalmente, od essere rappresentate da persone ivi menzionate; all'articolo 82 che il Giudice pronunciasse la sua sentenza alla udienza in cui ravvisava sufficientemente istrutta la causa, od in quella in cui una delle parti dichiarava di non voler più replicare, ovvero in quella che egli era tenuto a fissare per la prolazione; disponeva poi all'articolo 85 che il Giudice pubblicasse la sentenza in una delle udienze sovraindicate, leggendone il dispositivo, e che la sentenza così pubblicata si avesse per notificata quando entrambe le parti si fossero trovate presenti alla pubblicazione;

Che le riferite prescrizioni di procedura, le quali tutte miravano a procurare il più che fosse possibile la presenza personale delle parti nei giudizi mandamentali, sia nella istruzione della causa che nell'atto della prolazione della sentenza, dimostrano come il legislatore per economia di spese abbia voluto nelle cause di minor importanza, quali sono le mandamentali, surrogare alla notificazione ordinaria delle sentenze un'altra più semplice e meno dispendiosa, la quale rendendo edotte le parti del loro dispositivo producesse tutti gli effetti delle notificazioni ordinarie, e così facesse decorrere per ambe le parti i termini per appellare, e rendesse ammessibile l'appello che si fosse preparato;

E che tale fosse lo scopo prefissosi dal legislatore nei citati articoli lo spiega il successivo articolo 88 dello stesso Codice, il quale allora soltanto richiede la notificazione della sentenza nelle forme stabilite per gli atti di citazione quando la pubblicazione di essa sia avvenuta in assenza di alcuna delle parti;

Atteso che l'articolo 118 del Codice anzi citato non fu dettato per l'effetto di rinnovare una notificazione già eseguita, ma per ovviare allo inconveniente che si verificava sotto il Codice precedente del 1854, il quale permettendo l'appello senza che la sentenza fosse previamente o contemporaneamente notificata, lasciava istituire un giudizio d'appello senza che l'appellato avesse conoscenza della sentenza emanata.

Ciò è dimostrato dall'art. 535 dello stesso Codice, il quale ripeteva la stessa disposizione in ordine alle sentenze dei Tribunali di commercio e di circondario, per le quali la notificazione mediante la pubblicazione alla presenza delle parti non era ammessa, e quella che si faceva nelle forme per esso prescritte valeva tanto per la decorrenza del termine quanto per la proposizione della appellazione;

Che prescrivendo l'art. 118 la previa o contemporanea notificazione della sentenza senza specificare le forme riconosciute dal Codice, intende riferirsi a tutte quelle forme e così anche a quelle speciali surrogate alle generali come quella che aveva luogo mediante pubblicazione della sentenza alla presenza delle parti;

Attesochè non regge l'opporre che la sola pubblicazione del dispositivo della sentenza fosse insufficiente a rendere informata la parte appellata dell'intero contenuto nella medesima, e fosse perciò necessaria la notificazione della copia per farle conoscere se le convenisse o non di opporsi all'appello; imperciocchè a senso degli articoli 472 e 473 del citato Codice, applicabili alla causa di appellazione dalle sentenze dei Giudici di mandamento, dovendosi depositare alla Segreteria del Tribunale non più tardi del giorno successivo alla citazione dei documenti prodotti a corredo della domanda, e così la sentenza appellata, si somministrava all'appellato il mezzo di verificare i motivi del giudicato, e quindi

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Stefano Costa nato e domiciliato a Sestri Levante, addi 24 settembre 1863, si rendeva defunto in Bastia (Corsica) ove da alcuni anni trovavasi stabilito, lasciando un'unica figlia per nome Caterina, costituita in età minore.

Quel console italiano, onde addivenire a quegli atti che del caso nell'interesse di detta minorenne, convocava presso di sè un Consiglio di famiglia che le nominava a tutore il di lei zio Lazzaro Costa ricorrente, ed a procuratore un Luigi Mari; provvedeva indi pella confezione dell'inventario, per la vendita dei mobili, pel deposito dei titoli di credito nella Cassa d'industria e commercio di Parigi, e per altre pratiche della tutela, e prescriveva che la minorenne dovesse rimanere nel pensionato ove allora si trovava fino all'età di anni dodici, per essere quindi collocata in una Casa di educazione analoga alla sua posizione finanziaria e sociale, e ciò fino a che fosse stato altrimenti dal Consiglio di famiglia stabilito. Successivamente lo stesso ricorrente nella premessa di lui qualità di tutore ricorreva al giudice di Sestri a Levante, onde venisse convocato il Consiglio di famiglia della predetta di lui nipote per deliberare:

1° Che la stessa minorenne dovesse venire condotta in Genova ove egli risiedeva, ed ivi dopo essere stata sentita venisse collocata in quella Casa di educazione che il Consiglio avesse meglio avvisato ;

2o Che fosse ordinato dallo stesso Consiglio al Direttore della Società industriale commerciale avente sede in Parigi di rimettere e pagare liberamente ad esso Costa gl'interessi in iscadenza delle azioni come sopra depositate presso la Banca medesima.

Quel giudice però con suo decreto del 7 giugno 1864, ritenendo che la tutela si fosse aperta in Bastia, mandava al ricorrente di provvedersi avanti quel console italiano; tale decreto veniva dal ricorrente denunciato al Tribunale del circondario di Chiavari, ma questo con suo provvedimento del 19 luglio successivo lo confermava.

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