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piuttosto con urtare le opinioni, che con meritare la stima e l'affetto della maggioranza. D'elevati ma flosci pensieri era questo pontefice ostentatore di magnificenze: comandò il prosciugamento delle paludi ponline, intrapresa degna degli antichi romani, e superiore troppo alle forze economiche dello stato pontificio; nondimeno ne voltò i maggiori profitti all' ingrandimento dei propri parenti. Risentito per istinto, ascoltò più volentieri i consigli acerbi ed avventati, che i discorsi tendenti a posatezza e circospezione. Donde ne derivarono le tante contese, che a suo disdoro ed a scapito del papato egli promosse inconsideratamente. Per fasto abbelli Roma di nuovi edifici, e gli antichi ristorò; volle ampliati i Musei di preziosissimi oggetti di belle arti, ma lasciò che i popoli rimanessero nel consueto caos legislativo ed amministrativo.

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Appena montato sul soglio avrebbe Pio VI ripristinata la Compagnia di Gesù, se non ne fosse stato trattenuto dai riguardi dovuti ai principi grandi che l'avevano voluta soppressa; ma non s'astenne d'altronde dall' accordare ogni favore ai socj, che per ben meritare della ripristinazione s'adoprarono a tutta possa nel servire alle mire della curia papale. Con altre vesti e con altri gerghi continuarono i padri gli usati intrighi e maneggi, e quanto in queste arti fossero profondi maestri, ben se lo seppe Toscana la quale nel noto Summating ebbe il principale strumento alla reazione contro le leggi giurisdizionali Leopoldine. Queste erano le sordide milizie che la Corte romana adoprava per far la guerra ai principi

migliori, quando appunto l'Italia trovavasi nella necessità di aver gagliarde soldatesche sulle armi, e perfetta unione fra i governanti suoi. La configurazione dello stato ecclesiastico era ed è tale, che senza il concorso del papa non può formarsi lega generale in Italia, il che però genererebbe orribili sconcerti di diversa specie, donde ne discende la conclusione: esser la jerocrazia romana il massimo dei mali che affliggono l'infelice penisola. I costumi dell'alto clero italiano intorno a questi tempi comparivano svelatamente viziosi; la qual cosa nocque assai alla causa dell'ordine, poichè quando vi fu bisogno di ricorrere ad esso per attutare le ire delle passioni scatenate ed inferocite, e per dissuadere dai perniciosi proponimenti mediante la possanza religiosa, le moltitudini già scandalizzate dalla corruttela e dall'ignoranza clericale, non vi diedero ascolto, o se ne burlarono. Quando all'autorità della parola e degli scritti non è congiunto l'esempio dell'oprare virtuoso, tutto riesce vano o agisce in contrario senso. In tali condizioni trovavasi l'Italia nel 1790, cioè, mal provvista di truppe nazionali, colle porte aperte per un lato agli stranieri, e con troppo numerosi eserciti di frati e bizzochi sempre parati a parteggiare per chi loro garantisce il pane nell'ozio sterile ed ignavo. Troppo addietro erano generalmente rimaste le riformazioni civili per aver soddisfatti appieno i desideri ed i bisogni pubblici; di maniera che, l'eco delle libere istituzioni proclamate in Francia, commosse gli animi di tutti quelli che avrebbero ambito il rialzamento politico della patria dignità. Ma per quanto però un

Tomo III.

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si faccia ad esaminare la penisola da capo a fondo, chiaramente scorgesi, che il sentimento dell' unità nazionale non dava segni di vita, e che lo spirito municipale rimaneva vigoroso ed indomito. E tanto ciò è vero, che governi repubblicani, monarchici assoluti e rappresentativi (2), e gli jerocratici per giunta, frastagliavano l'Italia, senza aver astio l'uno dell'altro, e senza lagnanze per parte dei popoli. La parola italiano suonava sulle labbra a pochissimi, ed ognuno si qualificava dal nome della propria provincia, conseguenza dell'antico municipalismo, e delle arti praticate dalla jerocrazia romana per svellere dai petti degl' Italiani ogni patriottico pensiero, e per rendergli indifferentemente passivi alle sorti politiche riposte in mano degli stranieri. Sotto questo punto di vista l'odierna Italia ha fatto un gran passo: Iddio voglia darle le virtù ed il senno per fare il resto.

S. 2.

Ferdinando III prende solenne possesso
dello Stato.

All'atto di possesso preso dal senator Serristori per delegazione di Ferdinando III, successe ora una seconda funzione in gran ceremoniale eseguita sotto gli occhi del Granduca medesimo, e con apparato

(2) La parte d'Italia che più si reggesse colle forme rappresentative era la Sicilia: un'ombra di stati generali rimaneva anche in Piemonte, ma a similitudine della costituzione toscana, giacevano quasi obliati.

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mai più veduto. Ella fu celebrata nel giorno sacro al Precursore, speciale protettore della città, alla vista del pubblico, e sotto quella magnifica loggia edificata dall' Orgagna, che dai priori della vetusta Fiorenza prende nome. Adunato ivi il Senato, ed il Municipio fiorentino, qual rappresentante del Consiglio dei Dugento, assiso il Principe sul trono, dal cav. Gio. Battista Cellesi avvocato regio e direttore delle Riformagioni, venne pronunziata simile allocuzione: «Non la sola vostra venerazione, ossequio ed <«< affetto, amplissimi Senatori, fedelissimi Cittadini, per l'augusta Casa regnante, da cui con i più gloriosi au<< spicj siamo da lungo tempo governati; non le sole lusinghiere e ben concepite speranze nella sublime « persona del serenissimo arciduca granduca Fer<< dinando III, nato e cresciuto fra noi; non la sola << mia voce interprete del comune desiderio v'in<< vita adesso, come altra volta, a tributare al « trono dell'assente sovrano il dovuto omaggio di « fedeltà; ma le felici primizie da voi tutti gustate « del più dolce e fortnuato governo, l'assicu<< rato prospetto del più lieto avvenire, e l'augusta << presenza del Principe magnanimo ed adorabile, <<< unito a regia Sposa di glorioso lignaggio, fornita « delle più rare virtù, e destinata a perpetuare la no«stra felicità, vi richiamano in questo solenne giorno <<< a rinnovare al suo cospetto in nome della Toscana <<< tutta giubbilante e festosa di un tanto acquisto, « le più sincere testimonianze di rispetto e d'inalte«rabile obbedienza. Interpreti fortunati di una na«<zione affezionata, obbedite ai moti del vostro cuore

<< adempiendo ad un si grazioso incarico, e confer<< mate col dovuto omaggio e giuramento al clemen<< tissimo sovrano quei sentimenti di vassallaggio, che <«<le sue doti hanno già impressi a grandi caratteri << nei cuori de' suoi fedelissimi sudditi (3). »

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Dopo di che il cav. Fabio Orlandini luogotenente del Senato prese a favellare: « Se mai la Toscana ebbe << giusto motivo d'esultare e d'essere a parte del giubbilo comune ad altri popoli dell' universo, lo « fu certamente allora quando pervenne la lieta no<«<tizia di essere stato inalzato al trono de'Cesari << Pietro Leopoldo il Grande suo sovrano, poichè vide << coronate l'eccelse sue qualità, e premiate l'eroiche « sue virtù: Ma grande dall' altra parte fu il cor« doglio nel prevedere che sarebbe restata priva di <«< un sovrano, il quale in tutto il tempo del suo glo<<< rioso governo altro non ebbe in mira colle prov« vide e clementi sue leggi, che il bene de' suoi sud<< diti, e la comune felicità: Lungi ora da noi ogni <«<< ombra di tristezza e di dolore, tutto risuoni accla<< mazione, gioia e piacere, poichè siamo alla pre<< senza dell'A. R. di Ferdinando III arciduca d'Austria << figlio di Cesare, e nostro nuovo sovrano: Ne vi << aspettate, amplissimi Senatori, fedelissimi Cittadini, che io voglia diffondermi nella descrizione ed enu

(3) La riferita allocuzione è ricavata dall' istrumento rogalo Gonnella nel di 24 giugno 1791, che si conserva nel fascicolo 77 dei documenti originali nelle Riformagioni. In quanto al possesso preso per delegazione dal Serristori, vedasi quanto ne abbiamo detto nel eap. XII del libro VI, e ciò che apparisce dal documento N. LXI nell' Appendice antecedente.

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