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Die Italiener in Erytrea 1895/96 bis zur
Schlacht von Adua*).

Nr. 11094. ITALIEN. Dr. Nerazzini an den Minister des Auswärtigen. Denkschrift über die Lage in Erytrea.

Rom, 26. Januar 1895.

Italien.

26. Jan. 1895.

Le vittorie di Coatit e di Senafè, per i loro effetti politici debbono Nr. 11094. essere considerate sotto due punti di vista, uno locale ed immediato, quello cioè che si riferisce al Tigrè; l'altro generale, o per meglio dire etiopico, che ancora non ha avuto il tempo di manifestarsi. E ciò risponde alle circostanze che hanno dato origine al nuovo stato di cose rappresentate da un coefficiente locale, cioè la levata in armi di ras Mangascià con tutto quanto egli poteva riunire di armati onde tentare un colpo decisivo, incoraggiato dalla fiducia che buona parte delle nostre forze dovessero rimanere impegnate contro le orde del Califfo: da un coefficiente generale, rappresentato dall'azione suggestiva dell'Imperatore di Etiopia, che senza scendere direttamente in campo, perchè non lo poteva e forse non lo potrà mai, ha spinto Mangascià contro le forze italiane. E questo con duplice scopo da raggiungersi qualunque fosse l'esito dell'impresa; cioè, o di far subire un grave scacco agl'italiani, del quale avrebbe potuto profittare spingendo successivamente altre forze nell'Eritrea, e fiaccando la potenza di Mangascià e dell'elemento tigrino col quale è sempre latente l'antagonismo di razza e d'interessi, e rompendo così le basi di una alleanza italiana-tigrina della quale maggiormente paventa per i suoi effetti di successione dinastica. || Ras Mangascià è stato vinto, e la di lui coalizione tigrina distrutta: dico distrutta perchè, mentre ras Mangascià poteva sempre liberamente ritirarsi da Adigrat a Makallè, e conservare almeno una larva di prestigio, si è ridotto fra le montagne del Tembien come un bandito, che non può ulteriormente tenere l'aperta campagna, e non come un sovrano che cerca di riannodare le proprie forze e conservare la fiducia dei propri sudditi. || Per le naturali tendenze abissine, dove le masse seguono generalmente i vittoriosi e disertano le sorti di chi non può dare ulterior

*) Die folgenden Urkunden entstammen dem Grünbuche: Avvenimenti d'Africa. Gennaio 1895 Marzo 1896.

Staatsarchiv LIX

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Nr. 11094. mente vantaggi e risorse materiali, comincia nel Tigrè un periodo di vera Italien. dissoluzione; capi che si distaccano dal capo principale per offrirsi come sudditi nostri, o per ingrossare le forze di altri capi per i quali sperano eventualità di potere; clero che si agita e si commuove come fattore di pace e di perdoni; agricoltori e mercanti che corrono dove si ha maggior sicurezza di traffico e maggiore difesa da eventuali aggressioni e razzie. Risultato di ciò, indebolimento sempre maggiore delle forze proprie tigrine, bisogno crescente nelle popolazioni di un governo stabile e forte che ne tuteli l'esistenza materiale, accentuazione nelle tendenze di capi secondari da studiare pacatamente sotto il punto di vista di usarle a nostro interesse, esaurimento di forze morali e materiali a benefizio di chi assiste a questo spettacolo dal punto elevato che offre il forte dominio, la certezza della vittoria e che vi assiste come arbitro assoluto della situazione. || E giacchè la ferma attitudine di prudente raccoglimento che ha assunto dopo le sue vittorie il generale Baratieri, unico che può giudicare il da farsi essendo in possesso di tutti gli elementi di giudizio, mi dà coraggio a parlare, cosi parlo, esponendo quanto sia conforme ai miei convincimenti quest'attitudine di aspettativa per la quale nulla possiamo perdere e molto possiamo ancora guadagnare, dando tempo alla naturale evoluzione delle cose tigrine, al manifestarsi più chiaro delle intenzioni di Menelik, all'accentuarsi forse di una nuova e più potente discordia fra i capi tigrini e l'Imperatore, mentre noi facciamo acclimatare le truppe nuovamente avviate al nuovo ambiente e ai nuovi contatti, aumentiamo i quadri e l'organizzazione di quelle truppe indigene che sole si prestano ai movimenti nella periferia del nostro possesso, e ci prepariamo alla definitiva risoluzione di un altro problema, quello cioè di ridurre all'impotenza la reazione che inevitabilmente ci minaccia dal lato dei dervisci. || La espansione territoriale, tanto facilmente eseguibile in questo momento anche con limitato numero di forze, non so se produrrebbe per noi effetti di maggiore solidità nel nostro possedimento, avuto riguardo al doppio problema che oggi abbiamo da risolvere, ostilità contro l'Abissinia, ostilità contro il mahdismo. || Non avendo noi maniera di estrinsecare alcuna azione militare al sud che riguardi obiettivamente l'Imperatore di Etiopia, non è men vero che occorre non disinteressarsi nell'azione politica. Quanto all'Imperatore, ammesso pure che sia nata da lui l'idea della presa di armi di Mangascià, non credo che possa egli risolversi a un'azione effettiva almeno per l'anno presente, giacchè tutte le informazioni confermano trovarsi egli inoltrato nei paesi galla del sud, mentre la stagione è troppo avanti per permettergli movimenti diretti a presentarsi sul fronte dei nostri confini. Anche l'improvvisa comparsa di ras Alula nel campo di azione tigrino mi sembra improbabile perchè egli trovasi lontano quanto l'Imperatore, perchè venendo dallo Scioa dovrebbe portarsi dietro un buon nerbo di truppe, e al solito la distanza è grande la stagione inoltrata. Siccome poi ras Alula dovrebbe muovere per iniziativa dell'Imperatore, questi forse lo avrebbe già fatto per non lasciar combattere ras

Italien.

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Mangascià da solo. La comparsa di ras Alula oggi sarebbe tardiva giacchè Nr. 11094. non avrebbe troppa facilità a trovare molti seguaci dopo una sconfitta così completa delle armi tigrine. || Personalmente, ripeto, non credo all'intervento di Menelik per quest'anno, e lo credo poco probabile anche per gli anni futuri. Menelik ha fatto una disastrosa politica di espansione e la solidità del suo impero è in ragione inversa dell'estensione che vuol dargli. Il muovere truppe dai ricchi paesi dell'Harar, degl'Ittu, e delle altre provincie galla circumambienti lo Scioa, significherebbe perdere tutto e perdere il meglio per l'incerto e meno buono. Spira in questo momento per Menelik un vento poco propizio, giacchè il vecchio partito conservatore etiopico gli rimprovera il suo affaccendarsi verso le potenze europee, i trattati fatti e i nuovi che ha intenzione di fare; i progetti di telegrafi, di ponti, di ferrovie; la sua oscillazione nello spingersi all'amicizia più di una che di un'altra potenza; e la clamorosa sconfitta che le armi abissine hanno sofferto oggi dalle armi nostre, renderà più ardito quel partito conservatore, e la politica avventurosa di Menelik sarà maggiormente condannata.

Noi dobbiamo aspettare, e con molta attenzione, quali saranno gli effetti della notizia che avrà l'Imperatore sulla disfatta di Mangascià, giacchè egli dovrà certamente assumere un'attitudine meno nebulosa del solito, o rompendo arditamente le relazioni col Governo italiano col darsi un atteggiamento senza dubbio ostile, o sconfessando quello che ha fatto Mangascià, ciò che è più probabile. || Intanto, siccome le relazioni con Menelik non sono effettivamente rotte, e siccome fino ad oggi abbiamo sempre tenuto verso di lui un contegno da fargli immaginare che per la nostra sicurezza nell'Eritrea ci fosse indispensabile la sua amicizia e la conferma del suo trattato di Uccialli, non mi sembrerebbe fuor di luogo il dargli noi l'annunzio della vittoria, facendogli sentire la parola reale, ma con una intonazione nuova e da lui inaspettata, presso a poco in questi termini: |,,Quando i miei soldati e i miei generali erano occupati a combattere gl'infedeli, nostri comuni nemici, ras Mangascià ed altri capi del Tigrè, rompendo l'amicizia promessa con sacro giuramento, hanno levato le loro armi contro di noi. Il mio esercito con tre giorni di combattimento li ha vinti e distrutti, e la Divina Provvidenza mi ha dato la vittoria, permettendo che per mia mano fossero puniti coloro che rompono la fede giurata sopra i Santi Evangeli. Sono lieto di mandar questa notizia a Vostra Maestà, essendo certo di farle un gran piacere." || Questa lettera non significa nè politica scioana nè atto aggressivo verso l'Imperatore: ma per l'Imperatore, che ha mente da comprenderla, avrà la forza di significargli che noi ci sentiamo forti dei nostri diritti, fermi per qualsiasi eventualità, e stanchi delle di lui incertezze e dell'ingratitudine mostrata verso un Governo che lo ha elevato al trono di Etiopia. || Si potrebbe presso a poco fare lo stesso con ras Makonnen con un altro scopo, quello cioè di toglierlo da quel contegno di riservatezza a cui si tiene, sapendo che un forte partito di corte cerca di comprometterlo verso l'Imperatore, accusandolo di

Nr. 11094. accordi verso il Governo italiano nell'eventualità di future successioni al trono

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Italien. di Etiopia. Le relazioni nostre con ras Makonnen hanno duplice valore; e per la di lui posizione personale di capo fortissimo, di stirpe reale e quindi con la possibilità di una successione dinastica; e quale governatore di una provincia ricchissima l'Harar, che ha i suoi confini politici con due potenze europee, l'Inghilterra e la Francia, e quindi rappresenta la via per cui può affacciarsi nell'Etiopia del sud una influenza a noi antagonista. || Se l'Imperatore può avere la più assoluta certezza sulle intenzioni di ras Makonnen e specialmente che le sue relazioni col Governo italiano sono rotte, allora acquisterebbe una grande libertà d'azione e di movimento. Se questa certezza non l'ha, l'Imperatore è assolutamente immobilizzato nel circolo geografico dove ora si trova. Di qui l'importanza assoluta di una nostra politica attiva verso l'Harar e verso Makonnen; politica che se riesce a portare Makonnen nell'orbita dei nostri interessi, tanto meglio; e se non vi riesce, che raggiunga almeno lo scopo di compromettere Makonnen agli occhi dell'Imperatore. || Makonnen non è facile ad aprire l'animo suo, e nelle trattative politiche è di una prudenza incresciosa. Governa in Harar con criteri economici disastrosi, e forse, anzi certamente, lo comprende egli stesso. Ma lo fa per rispondere alle continue esigenze dell'Imperatore che chiede e sempre chiede a lui danaro e tributi, credendo che l'Harar sia una sorgente inesauribile di ricchezza. Se Makonnen non versasse all'Imperatore anche più di quello che l'Imperatore domanda, il partito contrario al ras farebbe credere a Menelik che quello riunisce danaro per proprio conto e per scopi personali, e quindi rischierebbe di perdere il Governo di quella provincia. Ecco le ragioni della disastrosa amministrazione di Harar: l'Imperatore ha un appetito insaziabile, e Makonnen lo sfama gravando le mani sul paese che governa. || La posizione di Makonnen verso la regina Taitù, che è la testa di Minerva nella politica scioana, giacchè Menelik non agisce che per di lei suggestione, è tesa e sommamente tesa. Vi è una ragione di odio profondo cagionato da fatti domestici, e questa tensione che si accumula finirà un giorno con esplodere ed esploderà con fatti inaspettati e violenti. Questo deve esser tenuto in gran conto da noi, e vigilando, aspettare gli eventi. || Ora, nell'attuale situazione di cose, non essendo possibile nè opportuno di fare verso Makonnen nessun passo ufficiale e molto meno di mandare alcuno per iniziativa nostra, bisogna offrire a lui i mezzi di tenersi a contatto e in rapporto con noi. Non potendo agir troppo a Zeila, in attesa che il Governo inglese consenta in quel porto un modus vivendi più proficuo ai nostri interessi, sarebbe utilissima la comparsa in quelle acque di una nostra nave de guerra, che si tenesse in crociera fra Perim, Zeila e Aden.

1. Perchè una nave da guerra nelle acque di Zeila avrebbe un effetto morale su Menelik, che proprio oggi manda lettere e doni al Governo inglese, supponendolo disinteressato nella politica nostra in Etiopia: ed il sapere una nave nostra in Zeila lo distrarrebbe da questa opinione e di nuovo gli farebbe credere che fra il Governo nostro e quello inglese vi è sempre accordo per

Italien.

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Mangascià da solo. La comparsa di ras Alula oggi sarebbe tardiva giacchè Nr. 11094. non avrebbe troppa facilità a trovare molti seguaci dopo una sconfitta così completa delle armi tigrine. || Personalmente, ripeto, non credo all'intervento di Menelik per quest'anno, e lo credo poco probabile anche per gli anni futuri. Menelik ha fatto una disastrosa politica di espansione e la solidità del suo impero è in ragione inversa dell'estensione che vuol dargli. Il muovere truppe dai ricchi paesi dell'Harar, degl'Ittu, e delle altre provincie galla circumambienti lo Scioa, significherebbe perdere tutto e perdere il meglio per l'incerto e meno buono. Spira in questo momento per Menelik un vento poco propizio, giacchè il vecchio partito conservatore etiopico gli rimprovera il suo affaccendarsi verso le potenze europee, i trattati fatti e i nuovi che ha intenzione di fare; i progetti di telegrafi, di ponti, di ferrovie; la sua oscillazione nello spingersi all'amicizia più di una che di un'altra potenza; e la clamorosa sconfitta che le armi abissine hanno sofferto oggi dalle armi nostre, renderà più ardito quel partito conservatore, e la politica avventurosa di Menelik sarà maggiormente condannata.

Noi dobbiamo aspettare, e con molta attenzione, quali saranno gli effetti della notizia che avrà l'Imperatore sulla disfatta di Mangascià, giacchè egli dovrà certamente assumere un'attitudine meno nebulosa del solito, o rompendo arditamente le relazioni col Governo italiano col darsi un atteggiamento senza dubbio ostile, o sconfessando quello che ha fatto Mangascià, ciò che è più probabile. || Intanto, siccome le relazioni con Menelik non sono effettivamente rotte, e siccome fino ad oggi abbiamo sempre tenuto verso di lui un contegno da fargli immaginare che per la nostra sicurezza nell'Eritrea ci fosse indispensabile la sua amicizia e la conferma del suo trattato di Uccialli, non mi sembrerebbe fuor di luogo il dargli noi l'annunzio della vittoria, facendogli sentire la parola reale, ma con una intonazione nuova e da lui inaspettata, presso a poco in questi termini: ||,,Quando i miei soldati e i miei generali erano occupati a combattere gl'infedeli, nostri comuni nemici, ras Mangascià ed altri capi del Tigrè, rompendo l'amicizia promessa con sacro giuramento, hanno levato le loro armi contro di noi. Il mio esercito con tre giorni di combattimento li ha vinti e distrutti, e la Divina Provvidenza mi ha dato la vittoria, permettendo che per mia mano fossero puniti coloro che rompono la fede giurata sopra i Santi Evangeli. Sono lieto di mandar questa notizia a Vostra Maestà, essendo certo di farle un gran piacere." || Questa lettera non significa nè politica scioana nè atto aggressivo verso l'Imperatore: ma per l'Imperatore, che ha mente da comprenderla, avrà la forza di significargli che noi ci sentiamo forti dei nostri diritti, fermi per qualsiasi eventualità, e stanchi delle di lui incertezze e dell'ingratitudine mostrata verso un Governo che lo ha elevato al trono di Etiopia. || Si potrebbe presso a poco fare lo stesso con ras Makonnen con un altro scopo, quello cioè di toglierlo da quel contegno di riservatezza a cui si tiene, sapendo che un forte partito di corte cerca di comprometterlo verso l'Imperatore, accusandolo di

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