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e, quindi, la legge civile internazionale che deve regolarlo, ove esso abbia indole civile internazionale.

La giustificazione del criterio della sede dei rapporti giuridici, come fondamentale del gius civile internazionale italiano, si può dare da un duplice punto di vista. Da quello cioè della sovranità e della indipendenza degli Stati, e da quello dell'intenzione e dell'interesse dei privati.

Ogni Stato ha diritto di disciplinare da solo ed esclusivamente tutti gli atti e fatti di qualsivoglia persona, dentro il proprio territorio; da questo fondamentale diritto proviene quello di disciplinare le relazioni giuridiche in generale, quindi, in particolare, quelle civili internazionali, che dentro il proprio territorio si consumano, cioè producono i loro naturali, o immediati ed essenziali effetti, qualunque sia il luogo, cioè lo Stato, in cui siano stati posti in essere. Quegli effetti s'intrecciano direttamente o indirettamente, con altre svariate relazioni giuridiche e diritti, posti in essere e consumati nello Stato e con questi concorrono a determinare la condizione giuridica ed economica nazionale, che lo Stato ha interesse e diritto di regolare come più opportuno egli stima. Non è quindi compatibile colla sovranità territoriale che una legislazione estera sottoponga a sè, da alcun punto di vista, neppure in relazione a effetti accidentali e secondari, ma effetti veri e propri, negozi giuridici che nello Stato hanno sede, in ragione degli effetti loro essenziali ed immediati, intercedano essi fra i sudditi di questo, oppure fra forestieri, o tra forestieri e cittadini.

Se questa ovvia esigenza della sovranità degli Stati non venga rispettata, la conseguenza pratica ne sarà che lo Stato nel quale è la vera sede d'un dato rapporto civile internazionale non terrà alcun conto dei giudizi pronunciati altrove intorno ad esso; la qual cosa non giova certamente alle buone relazioni internazionali, nè ai privati interessi internazionali, e non risponde quindi affatto alla ragione e allo scopo del diritto internazionale in generale. Se, per esempio, ai rapporti patrimoniali nascenti dal matrimonio di un suddito dello Stato estero A con una suddita dello Stato estero B, il quale matrimonio fosse stato concluso in Italia, senza dichiarazione alcuna dei nubenti circa la legge da applicare a quei rapporti, si appli

casse in Italia la legge italiana, in virtù dell'art. 9 disp. prelim., mentre la legge dello Stato A, in cui i coniugi erano domiciliati all'atto del loro matrimonio, ed hanno conservato anche dopo il loro domicilio, li sottoponesse al proprio impero, egli è certo che la sentenza italiana non otterrebbe, nello Stato A, esecuzione sui beni di quei coniugi, ivi situati. Del pari nessun effetto potrebbe avere in Germania una sentenza italiana, che una obbligazione posta in essere e da eseguire da un italiano in quel paese giudicasse invalida, per difetto di capacità personale, a termini della legge italiana, mentre ella sarebbe valida secondo il diritto tedesco, il quale a obbligazione siffatta vuole esclusivamente applicate le norme relative alla capacità personale in esso statuite (Cod. civ. germ. § 7 della legge introduttiva). In questi e in consimili casi, anzichè avere efficacia all'estero il gius civile internazionale italiano e i giudicati italiani, sarebbero questi contraddetti da giudicati esteri, pronunciati là dove i negozi giuridici civili internazionali hanno la vera e propria loro sede. Contraddizioni facili ad accadere, se si considera che, mentre può benissimo darsi che il giudice italiano abbia occasione di pronunziarsi incidentalmente intorno alla validità di un negozio giuridico avente la propria sede in uno Stato estero, oppure di conoscere di effetti mediati eventuali di esso, è il giudice di quello Stato invece che viene adito per far valere di quel negozio o rapporto giuridico gli effetti immediati ed essenziali.

La esclusiva signoria della legge del luogo e propriamente del diritto civile internazionale del luogo in cui un rapporto civile internazionale ha la sua sede, è, senza dubbio, norma che risponde alla presumibile intenzione dei disponenti e contraenti. Se questi sono di diversa nazionalità, è naturale supporre che abbiano inteso riferirsi alle disposizioni della legge dello Stato in cui il negozio dovrà esser eseguito, in cui essi dovranno portarsi per eseguirlo, e troveranno i mezzi di questa esecuzione. Attribuire loro l'intenzione di sottomettersi alla legge, cioè al diritto civile internazionale dello Stato in cui il negozio venne posto in essere, se nello Stato medesimo esso non debba anche essere eseguito, è supposizione del tutto irrazionale.

Possono certamente anche i negozi civili internazionali, al pari dei nazionali, venire espressamente sottoposti dai disponenti o contraenti ad una legge nazionale qualunque. Non per questo, tuttavia, le parti sono totalmente dispensate da ogni riguardo alla sede di ogni singolo negozio e al diritto civile internazionale ivi imperante. Se, per esempio, un suddito russo dimorante in Italia, vendesse a un forestiero uno stabile situato in Russia, che al compratore non fosse consentito di possedere, e pattuissero i contraenti che la legge italiana dovesse regolare questa compra-vendita, potrebbe, oserebbe il giudice italiano condannare il venditore a consegnar lo stabile venduto, in ispreto della legge russa che ne vieta al compratore il possesso ?

Sia dunque dal punto di vista della sovranità degli Stati, sia da quello dell'intenzione e degli interessi dei privati, apparisce certo e fondamentale il canone, che i rapporti civili internazionali devono essere sottoposti al diritto civile internazionale di quello Stato in cui è la loro sede, in cui, cioè, si producono i loro effetti immediati ed essenziali.

All'illustre Savigny, come ho ricordato da principio, spetta il merito di aver formulato questa regola, di avere assiso il diritto civile internazionale su questa base. « Per ogni giuridica relazione, egli scrive (System des heutigen römischen Rechts, vol. VIII, pag. 108), si deve cercare la sfera giuridica (Rechtsgebiet) a cui essa per la sua propria natura appartiene ed è soggetta, in cui essa ha sede». Si sono mosse varie obiezioni a questa dottrina, e parecchi recenti scrittori, specialmente italiani, o la trascurano, o si dànno la vana briga di sostituirvi altri criterî. Ma di qui, appunto, la indeterminatezza e l'incoerenza che dominano nei loro scritti. Nella odierna letteratura civile internazionale il canone savigniano conserva tuttavia prevalente autorità. Afferma il Bar (Holtzendorffs Encyklopädie, vol. I, pag. 724 della 5a ediz.), che la dottrina di Savigny, per ciò che riguarda il principio generale (della sede dei negozi giuridici), è senza dubbio predominante nella letteratura e giurisprudenza tedesca del diritto privato internazionale, ed ha acquistato anche all'estero sempre più generale considerazione.

Che se ben si rifletta, il principio savigniano è implicito in parecchi canoni tradizionali del giure civile internazionale. Ella è invero sede della persona il domicilio di questa; è sede, fittizia bensì, delle cose mobili, che mutano sede effettiva materiale, quella del loro asserito proprietario; è sede dei diritti reali immobiliari lo Stato in cui gl'immobili stanno. Quindi sono, per così dire, anticipazioni inconsapevoli del canone savigniano le tradizionali regole mobilia sequuntur personam, immobilia reguntur lege loci; sono cioè, altrettante designazioni di leggi civili internazionali vigenti nella sede della persona, delle cose mobili, e delle cose immobili. Lo stesso si può dire del canone che, rispetto alla forma, locus regit actum, poichè un atto giuridico considerato per sè stesso, cioè prescindendo dalla sua sostanza, si può ben dire che abbia la sua sede là dove è posto in essere; e dell'altra regola, che le norme procedurali da seguire in una controversia civile internazionale qualunque devonsi desumere dalla legge nazionale dello Stato in cui la procedura è condotta, ed ha quindi la sua sede.

Non riflettono gli avversari del principio savigniano, che vi sono casi civili internazionali, impossibili a decidere, fuorchè col criterio della sede loro. Si pensi all'individuo senza nazionalità; con qual legge verrà regolata la capacità di lui se non con quella dello Stato in cui egli ha sede, cioè ha domicilio ? Si pensi ai contratti per corrispondenza fra due diversi Stati, retti da differenti leggi e fra due persone di nazionalità differente; l'art. 9 disp. prel. non potrà certamente a loro applicarsi ; e se non si ammetta l'opinione di taluni, che ogni contraente debba essere giudicato secondo la propria legge non si potrà certamente dare ragionevole preferenza ad altra legge che a quella dello Stato in cui il contratto per corrispondenza deve essere eseguito.

Neppure riflettono quei giuristi che uno dei maggiori desiderati dei cultori odierni del diritto civile internazionale, quello della unità internazionale della legge del fallimento, della prevalenza cioè della legge dello Stato in cui il fallito aveva la sede principale dei propri affari, è un omaggio al criterio della sede dei giuridici negozi..

E finalmente non riflettono alla grande convenienza pratica di questo criterio, in quanto esso fa coincidere la nazionalità della legge regolatrice dei rapporti civili internazionali con quella dei giudici che per solito conoscono dei loro effetti. Invero quantunque la giustizia civile internazionale non sia possibile se non a condizione che il giudice di uno Stato applichi leggi forestiere, egli è certo però che i casi di questa applicazione si devono piuttosto restringere che allargare, poichè nessun giudice offre piena garanzia di bene interpretare altra legge che la propria. Ora egli è manifesto che, se la legge regolatrice dei rapporti civili internazionali è di preferenza quella dello Stato in cui questi rapporti svolgono i loro essenziali effetti, verranno essi anche nel miglior modo definiti dai giudici di quello Stato, ai quali sogliono esser di preferenza sottoposte le relative questioni.

Io non disconosco, essere molte volte difficile determinare la sede di un rapporto giuridico. Queste difficoltà sono state avvertite, ed anche felicemente superate dallo stesso Savigny, ma non è qui necessario che io mi dilunghi a dimostrarlo.

Soggiungerò invece, come ho già affermato da principio, che il diritto civile italiano non può, a mio avviso, essere correttamente applicato, nè quindi debitamente interpretato, se non con la scorta appunto della dottrina fondamentale di Savigny.

È una asserzione che nessuno ha osato mai, e che a molti parrà temeraria. Eppure io sono convinto che, ove gli articoli 6-12 del titolo preliminare del Codice civile italiano vengano applicati dai giudici italiani a tutti i rapporti civili internazionali, senza distinguere fra quelli i cui effetti essenziali e immediati si producono in Italia, e quelli in cui questi effetti si producono all'estero, gravi conflitti di giudicati in un medesimo caso sono inevitabili, atteso chè parecchie regole del giure civile internazionale italiano non sono ancora universalmente accolte. Conflitti, i quali, come ho già osservato, non soltanto riescono dannosi ai privati, ma ripugnanti altresì allo stesso scopo a cui mirano le norme civili internazionali, siano consuetudinarie, siano convenzionali, o scritte in singole legislazioni.

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