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È ella veramente consentita dalla legislazione civile internazionale italiana siffatta interpretazione da me propugnata? Molti, i più, lo negano, ma io ardisco non essere di questo avviso.

Convengo non essere facile tener ferma siffatta tesi in materia civile internazionale successoria, di fronte al categorico disposto della clausola finale dell'art. 8. Vi ha però più di un giureconsulto, e più di un giudicato, che osarono dichiarare inapplicabile quella clausola ai beni ereditari, specialmente immobiliari, situati all'estero; è anche questa una tesi che prima degli altri ho sostenuto. Ma si prescinda pure dall'art. 8; vi hanno altri canoni del diritto civile internazionale italiano, i quali non sono universalmente ricevuti: -la nazionalità della legge personale, - la realità della legge regolatrice delle cose mobili, aventi sede conosciuta, - l'impero della legge contrattuale del luogo in cui il contratto venne posto in essere fra persone di differente nazionalità, ove i contraenti non abbiano dichiarato di riferirsi a una legge diversa. Ora di tutte queste regole proprie del diritto italiano, l'applicazione che io affermo doversi fare, giusta il criterio fondamentale savigniano, sembra avere contro di sè la formulazione stessa degli articoli 6-12, i quali non appongono limiti di sorta alla loro efficacia; ma appunto questa difficoltà, che a moltissimi sembra insuperabile, a me non sembra tale.

Io sono d'avviso che i canoni degli art. 6-12, così come sono formulati in termini generali, non escludono una interpretazione restrittiva, tutte le volte che questa sia imperiosamente voluta dalla ratio juris, cioè dallo scopo stesso a cui essi tendono, che è certamente quello di dirimere conflitti giuridici fra l'Italia e altri paesi, e non già di farli nascere. In tesi generale, l'interpretazione restrittiva di una legge è tanto lecita quanto la estensiva, quando l'una o l'altra sono volute dalla ratio juris.

Fosse anche, del resto, alquanto ardita la tesi interpretativa che io propongo degli articoli 6-12, cod. civ. disp. prel., la tesi, cioè, che le regole contenute in questi articoli, non ancora universalmente ricevute, vogliono essere applicate soltanto a quei casi civili internazionali che interessano bensì l'Italia e uno

di quegli Stati che non le ammettono, ma che hanno la loro sede in Italia, benchè a distinzione di casi gli articoli medesimi non accennino affatto, non per questo io credo che la si possa condannare. Oggi più che mai, tanto in Francia, quanto in Germania, si fa strada nella dottrina la convinzione del cosiddetto ufficio pretorio della giurisprudenza, dell'ufficio, non solo di supplire ai silenzi della legge, ma altresì di interpretare la lettera di questa in un senso non preveduto, od anche diverso da quello attribuitole dal legislatore, purchè alla lettera della legge non si faccia violenza.

In una prossima pubblicazione speciale io svolgerò più ampiamente queste mie idee, e ne farò larghe applicazioni pratiche.

C. F. GABBA.

GLI ULTIMI PROGRESSI

DELL'ARBITRATO INTERNAZIONALE

Brevi note, a proposito di due recenti convenzioni generali d'arbitrato concluse dall'Italia.

L

E convenzioni generali d'arbitrato possono distinguersi in due categorie.

Alla prima appartengono le convenzioni che escludono dal giudizio arbitrale stesso tutta una serie di controversie, e cioè (secondo la espressione più comunemente adoperata) quelle controversie che riguardano « gl'interessi vitali, l'indipendenza o l'onore dei due Stati contraenti », e lasciano - esplicitamente o implicitamente - al giudizio degli Stati medesimi il decidere quando una controversia abbia, o meno, tale carattere. Appartengono a questa categoria, per non parlare che dell'Italia, le convenzioni recentemente stipulate con la Francia (25 dicembre 1903), con l'Inghilterra (1o febbraio 1904) con la Svizzera (23 novembre 1904), e col Portogallo (11 maggio 1905).

Le convenzioni di questo genere non hanno, evidentemente, che un valore morale, come manifestazione di una nobile tendenza. Esse infatti, praticamente, lasciando ad ogni Stato contraente il modo di sottrasi al giudizio, non assicurano alla soluzione arbitrale alcuna garanzia maggiore di quella che le deriva dalla generale tendenza dei governi e della opinione pubblica, che considerano l'arbitrato come il mezzo più civile per decidere le contese internazionali.

Appartengono invece alla seconda categoria quelle convenzioni le quali, sia deferendo all'arbitrato tutte le controversie

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d'ogni specie, sia determinando le controversie medesime in certe classi mediante procedure fisse e sicure, sottraggono l'applicazione pratica dell'istituto al capriccio e all'arbitrio delle parti contraenti.

A questa seconda categoria appartengono due recenti ed importanti convenzioni stipulate dall'Italia, l'una col Perù, in data 18 aprile 1905, le cui ratifiche furono scambiate a Lima l'11 novembre dello stesso anno, l'altra con la Danimarca, firmata a Roma il 16 dicembre 1905, le cui ratifiche saranno scambiate, tosto che sia avvenuta l'approvazione del Parlamento danese.

In appendice a queste brevi note è riprodotto il testo delle due convenzioni. La mia qualità di professore di diritto internazionale avendo riserbato a me l'onore e la ventura di negoziarle, mentre ero sotto-segretario di Stato per gli affari esteri, non riuscirà discaro che aggiunga al testo qualche breve commento, che varrà a porre meglio in evidenza qualche disposizione più importante.

II TRATTATO GENERALE D'ARBITRATO col Perù fu modellato in buona parte su quello fra l'Italia e la Repubblica Argentina, firmato a Roma il 23 luglio 1898.

Le sorti di questo trattato con l'Argentina sono abbastanza note. Esso fu convenuto in Roma dal march. Visconti - Venosta, allora ministro degli affari esteri, col sig. Moreno, ministro della Repubblica Argentina. Chi scrive ebbe l'onore di redigerne il testo, riprodotto del pari in appendice a queste note (1), che venne poi integralmente accolto. Caduto il Visconti-Venosta, l'ammiraglio Canevaro, che gli successe, accettò il testo già concordato in massima, che fu sottoscritto in Roma, come ho detto, nel luglio del 1898. Sottoposto peraltro, nel dicembre dello stesso anno, al Senato argentino, questo lo approvava bensì, ma introducendovi una modificazione che, alterandone la portata, dette luogo ad una serie di trattative ulteriori fra i due governi, le quali non hanno condotto sinora ad alcun risultato pratico.

(1) Non è inserito nella Raccolta ufficiale, non essendone avvenu te mai le ratifiche.

La modificazione essenziale introdotta dal Senato della Repubblica si riferiva all'art. 1, del quale esso volle inserita una clausola tendente ad escludere dall'arbitrato « le vertenze che toccano i principî fondamentali della costituzione dei due paesi ».

Il governo italiano, anche in considerazione delle numerose e varie materie contenute nella costituzione argentina, propose, almeno, questo temperamento: di deferire al tribunale arbitrale il giudizio per decidere, quando sorgesse contestazione, se la vertenza dovesse considerarsi fra quelle escluse dalla detta clausola. Ma neppur questo temperamento fu accettato dall'Argentina. Avendo avuto ragione di credere che le difficoltà di quello Stato ad accettare il testo originario derivassero specialmente dal fatto di non volere esso sottoporre ad arbitrato le questioni di nazionalità, il governo italiano si dimostrò anche disposto a dichiarare esplicitamente che le dette questioni sarebbero rimaste sempre, da una parte e dall'altra, di competenza dei tribunali locali. Il governo italiano si dimostrò, inoltre, genericamente disposto ad esaminare qualunque altra formula, per la redazione dell'art. 1, che dal governo argentino venisse proposta ; a condizione peraltro di evitare quelle formule indeterminate e vaghe, le quali, permettendo poi alle parti contraenti di sottrarsi all'arbitrato ogni qualvolta effettivamente lo vogliano, tolgono all'istituto medesimo gran parte del suo valore pratico, conservandogli poco più che il significato di una nobile affermazione di principio.

Tali trattative, ripeto, non condussero a pratiche risultanze e a questo punto sono oggi le cose, nè potranno mutare ormai, se dal governo argentino, a cui spetta, non partirà la nuova iniziativa per una ripresa dei negoziati.

Benchè non ratificato, il trattato coll'Argentina non restò peraltro privo d'importanza pratica. Esso infatti, con quella modificazione dell'art. 1, divenne il testo di molte convenzioni generali concluse fra Stati sud-americani; e su di esso, come ho detto, fu modellato altresì il recente accordo fra l'Italia e il Perù.

Le trattative per la stipulazione di quest'ultimo furono iniziate nel dicembre del 1903, e abbastanza sollecitamente condotte a fine.

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