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L'art. 1 è il più importante. Il governo del Perù non si dimostrò disposto ad accogliere una formula che sottoponesse al giudizio arbitrale tutte le controversie, senza eccezione, che per qualsiasi causa sorgessero fra i due paesi; esso volle che vi si fosse introdotta l'eccezione relativa all'« indipendenza o all'onore nazionale » dei due Stati, ma consenti all'accettazione della clausola la quale stabilisce che « quando sorga dubbio su questo punto, lo si risolverà parimenti col giudizio arbitrale ».

È questa, per quanto mi risulta, la prima convenzione generale d'arbitrato che contenga una simile clausola; è superfluo che io insista per rilevare l'importanza della medesima, e il progresso che essa realizza.

Oltre a ciò, nel secondo comma dell'art. 1 sono specificatamente indicate tutta una serie di controversie le quali in nessun caso potranno essere considerate come riguardanti l'indipendenza o l'onore nazionale, e si dichiara - come affermazione teorica e come criterio d'interpretazione pratica – che « proposito dei due governi è quello di dare la maggiore estensione possibile, nei loro reciproci rapporti, all'applicazione del principio dell'arbitrato ».

Fu argomento di discussione, nei negoziati, l'art. 2, relativo alla designazione dell'arbitro ; articolo che si discosta alquanto dal corrispondente art. 3 del trattato italo-argentino. Il governo italiano credette di dovere insistere specialmente per il principio che l'attribuzione della scelta dell'arbitro a due o più Stati avvenisse col sistema alternativo, e non con quello sostitutivo, come il governo peruviano sembrava preferire; e ciò soprattutto perchè il sistema sostitutivo avrebbe esposto le parti alla eventualità che la scelta fosse ripetutamente fatta da un solo e medesimo Stato. Il governo italiano insistè altresì, perchè figurassero in eguale proporzione gli Stati europei e gli Stati americani, fra quelli indicati per la designaztone dell'arbitro.

Prevalsero invece le ragioni del governo peruviano nella scelta dell'arbitro unico, anzichè collegiale. Il principio della collegialità sembrava, in verità, più conforme alla natura del tribunale, e preferibile in un trattato permanente d'arbitrato.

Il governo peruviano, dal canto suo, fece soprattutto valere la opportunità di aver disponibile un mezzo a cui sia agevole e spedito il ricorrere, ogniqualvolta le circostanze lo richiedano ; uno strumento insomma di facile maneggio, e il cui impiego non comporti l'onere di spese talvolta sproporzionate alla entità della stessa controversia che si tratta di dirimere. E non si può disconoscere il valore pratico di questa considerazione.

Gli altri articoli riproducono i corrispondenti articoli del trattato italo-argentino con lievi modificazioni, delle quali giova rilevare queste due. Al quarto alinea dell'art. 5 (art. 6 del trattato italo-peruviano) sono state aggiunte espressamente «<le questioni pregiudiziali e incidentali », e all'art. 7 è stata del pari espressamente dichiarata la competenza dell'arbitro a decidere anche « sulla propria competenza ».

L'ACCORDO GENERALE D'ABITRATO fra l'Italia e la Danimarca trae anch'esso la sua maggiore importanza dall'art. 1, il quale sottopone al giudizio arbitrale tutti i litigi, di qualunque natura, che sorgano fra i due paesi.

È la prima convenzione di questo genere, fra tutte quelle concluse dall'Italia, che comprende un riconoscimento così assoluto del principio dell'arbitrato; ed è altresì la prima, di questa categoria, a cui abbia aderito una grande potenza. Per quanto io sappia, una disposizione simile si contiene soltanto nella convenzione d'arbitrato conclusa tra la Danimarca stessa e i Paesi Bassi il 12 febbraio 1904.

Negli altri articoli, relativi alla procedura arbitrale, l'accordo italo-danese è assai più conciso del trattato italo-peruviano. Essendo, tanto l'Italia che la Danimarca, fra gli Stati aderenti alla convenzione dell' Aja, si preferi di riferirsi, in massima, alla procedura stabilita dalla convenzione medesima. Su due punti peraltro, che furono oggetto di discussione, è opportuno aggiungere qualche commento.

Il secondo alinea dell'art. 2 stabilisce che « in mancanza di un compromesso speciale, gli arbitri giudicherebbero sulla base delle pretese formulate dalle due parti ». Il punto di vista da cui mosse il governo italiano per sostenere l'opportunità di una simile clausola, fu anzitutto quello della necessità di assicurare, in ogni caso, la formazione e il funzionamento dell'ar

bitrato. Invero, l'istituto dell'arbitrato obbligatorio cesserebbe d'avere la sua ragione d'essere, se la certezza del giudizio arbitrale non fosse posta al di fuori e al disopra della volontà delle parti, di guisa che queste non possano sottrarvisi, quand'anche ne avessero eventualmente il desiderio. Ora è evidente che se la esistenza di un compromesso è condizione indispensabile per il funzionamento dell'arbitraggio, sarebbe facile allo Stato che voglia sottrarvisi di sollevare pretese o difficoltà che ne rendano impossibile la stipulazione. A ciò provvede appunto quella clausola dell'art. 2 ; la quale è tanto più giustificata quando si rifletta che, a vero dire, il compromesso, indispensabile finchè si tratta di creare e di costituire il giudice, non ha più ragione d'essere in relazione con un trattato permanente, che ha già costituito, una volta per sempre, il giudice e stabilito le modalità della sua funzione. In tali condizioni, un compromesso speciale, volta per volta, non è più ragionevole di quello che sarebbe un compromesso fra due privati per ricorrere ai tribunali ordinari. Tali considerazioni furono apprezzate ed accolte dal governo danese.

L'altro articolo meritevole d'uno speciale commento, è l'articolo 4, che, nel testo proposto dal governo danese, era concepito originariamente così:

« Il est entendu que les articles précédents ne seront pas applicables aux différends qui pourraient s'élever entre un ressortissant de l'une des parties et l'autre Etat contractant, lorsque les tribunaux auront, d'après la législation de cet Etat, compétence pour juger la contestation »>.

Una disposizione presso a poco identica è inserita nelle convenzioni d'arbitrato concluse dalla Danimarca coi Belgio, con l'Olanda e con la Russia.

Per ben determinare l'importanza e la portata di questo articolo, giova ricordare che l'art. 1 stabilisce che debbano essere devolute all'arbitro tutte le controversie, di qualunque specie, che sorgano « fra i due Stati ».

Ora, una controversia può sorgere «fra due Stati », sia perchè sono tali fin dall'origine i due soggetti contendenti, sia perchè, pur essendo uno od entrambi i contendenti persone private, l'oggetto della contesa eccede il campo del diritto pri

vato per passare in quello del diritto internazionale pubblico, posto nei rapporti reciproci tra gli Stati, sotto la tutela degli Stati medesimi.

Di fronte al testo dell'art. 4 della convenzione, così come era proposto dalla Danimarca, si poneva questa alternativa: 0 la contesa fra uno dei due Stati contraenti e un cittadino dell'altro è d'indole privata, e, in tal caso, l'esclusione del ricorso al giudizio arbitrale è già implicitamente dichiarata nell'art. 1; ovvero la contesa si riferisce a un argomento per il quale lo Stato ha il diritto e il dovere di intervenire, per la protezione del proprio cittadino nei rapporti internazionali, e in tal caso può non sembrare giusto che il giudizio arbitrale sia escluso, per il solo fatto che una disposizione del diritto interno dell'altro Stato contraente determina, nella specie, la competenza dei tribunali locali.

Partendo da queste considerazioni, e constatando che la contesa, sebbene sorta fra un cittadino e uno Stato estero, implica una vera questione di diritto pubblico internazionale, ogniqualvolta sia in giuoco l'applicazione di una convenzione o un principio di diritto internazionale, il governo italiano proponeva che, qualora si volesse insistere nel mantenere l'articolo 4, vi si aggiungesse una riserva così concepita : « a meno che la controversia non si riferisca all'applicazione di una convenzione fra i due Stati, o di un principio di diritto internazionale ».

Dal canto suo la Danimarca insisteva nel matenimento dell'art. 4, che essa considerava come una difesa della competenza e della sovranità territoriale. È evidente, argomentava quel governo, che se una questione litigiosa fosse stata già giudicata dai tribunali di una delle due parti, essa non potrebbe venir sottoposta all'arbitrato internazionale senza dar luogo a una situazione inestricabile, in caso di divergenza fra i due giudizi. E venivano posti in rilievo anche altri inconvenienti che la omissione della detta clausola avrebbe indubbiamente cagionato, secondo l'opinione di quel governo.

La formula che fu poi definitivamente accolta: «a meno che la controversia non si riferisca all'applicazione di una convenzione tra i due Stati, o che non si tratti di un caso di denegata

giustizia », rappresenta una specie di transazione. La esclusione dell'arbitrato internazionale ogni qualvolta si tratti di una contesa sorta fra uno dei due Stati contraenti e un cittadino dell'altro, per la quale siano competenti i tribunali del primo, e ciò quand'anche la contesa implichi l'applicazione di una regola di diritto internazionale, non deve pertanto essere intesa come la rinuncia ad un principio, ma piuttosto in questo senso che le due Parti avendo piena fiducia reciproca nelle leggi e negli ordinamenti giudiziari rispettivi, escludono a priori l'attribuzione d'irregolari competenze e la possibilità di sentenze che offendano i principî della giustizia internazionale; poste tali premesse, ognuno dei due Stati preventivamente accetta, con assoluta confidenza, l'interpretazione e l'applicazione dei principî di diritto internazionale fatta dai rispettivi tribunalı, nei casi in cui le leggi interne li dichiarano competenti.

Le questioni interessanti e non facili che questo art. 4 per tal modo suscita, e che io così sommariamente ho accennato, meriterebbe del resto ben maggiori svolgimenti, che l'indole di questo articolo non consente (1).

Debbo ancora ricordare, per ultimo, che l'art. 4 è completato da uno scambio di note con il quale i due governi dichiarano d'interpretare la parola « tribunali » dell'articolo stesso, nel senso di « tribunali ordinari » e cioè di diritto comune, escludendo cioè i << tribunali eccezionali » e le «commissioni speciali

GUIDO FUSINATO.

(1) Non posso a meno di ricordare a questo proposito, per cagione d'onore, il recente libro del prof. ANZILOTTI Il diritto internazionale nei giudizi interni, Bologna, Zanichelli, 1905.

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