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dall'imperatore d'Austria al re di Sardegna, ma, come si legge nel Preambolo e nell'art. III, all'imperatore dei Francesi, e da questo contempora neamente al re di Sardegna. Miserabile sfogo di livore, su cui non occorre più oltre insistere.

La sostanza si fu che venne riparato, in ciò che concerneva la Lombardia, ai torti del 1815, e alla mala fortuna del 1848-49.

Questa trasmissione della sovranità della Lombardia si operò naturalmente nella vecchia forma della cessione per trattati di pace. Però non si potrebbe dire che ciò avesse luogo indipendentemente dal voto dei popoli, perocchè, a prescindere non esservi alcun dubbio sulla nazionalità italiana della Lombardia, essa aveva votato per plebiscito l'unione immediata agli Stati del re di Sardegna all'8 giugno 1848, e in tanto quel plebiscito aveva cessato di operare, in quanto le forze austriache lo avevano impedito; di maniera che man mano che esse si ritiravano, quell'atto di sovranità nazionale ripigliava il proprio vigore; tanto più che le popolazioni dappertutto e in tutte le forme lo confermavano. Sicchè potrebbe ben dirsi nell'acquisto della Lombardia, che, non ostante la maniera così irrazionale della trasmissione mediante Napoleone III, nella sostanza si fondevano insieme il vecchio e il nuovo diritto pubblico, la volontà nazionale dei cittadini e la cessione dell'antico sovrano.

Vi è un'altra parte di esso Trattato di Zurigo a notare, quella che concerne i limiti del paese ceduto, per cui rimanevano all'Austria tutte le provincie venete e persino Peschiera e Mantova, tanto che l'Imperatore d'Austria conservò ancora fino al 1866 il titolo di re del LombardoVeneto. Questa parte, continuando a mantenere violate le ragioni della nazionalità italiana, continuò a mantenere viva la sua lotta coll'austriaca, e addusse l'alleanza colla Prussia, la nuova guerra del 1866, e quindi il Trattato di pace di Vienna del 3 ottobre.

11. Anche in questo Trattato è a notare che il principio di nazionalità ha formato il principio giuridico delle aspirazioni italiane e della nuova guerra. Però vi è qualche cosa di particolare. L'imperatore d'Austria prima della guerra colla Prussia, nello intendimento di evitarla coll'Italia, avendo stimato di cedere il Veneto all'imperatore dei Francesi, si è creduto di fare semplicemente menzione, nel preambolo, di questa strana cessione, e della soddisfazione dell'imperatore dei Francesi che Venezia si acquistasse dall'Italia; ma nel Trattato non comparisce la Francia, e molto meno la Prussia. Esso è soltanto tra l'imperatore d'Austria e il re d'Italia, la cui unione in regno nazionale venne cosi solennemente riconosciuta.

L'altro punto importantissimo a notare per lo sviluppo del diritto pubblico europeo si è che, sebbene nessun dubbio vi fosse, sia sulla nazionalità italiana delle popolazioni venete, sia sull'animo loro, manifestato

per tanti anni a prezzo di tanti sacrificii, di appartenere al regno d'Italia, pure nel preambolo si legge che la riunione loro all'Italia si ammise sotto la riserva dell'imperatore Napoleone « del consenso delle popolazioni debitamente consultate »; il che infatti ebbe luogo col plebiscito dei 21 e 22 ottobre 1866. Principio tanto più notevole, che nello stesso anno la Prussia acquistò in Germania i soppressi Stati dell'Hannover, di Nassau, dell'Assia Elettorale e dell'antica città libera di Francoforte, e certo senza alcun voto degli abitanti, anzi, in quell'epoca almeno, per quanto sia potuto apparire, loro malgrado.

Più tardi nel 1871 si tolsero alla Francia l'Alsazia e parte dell'antica Lorena, col consenso bensi dello Stato di cui facevano parte, cioè dell'Assemblea Nazionale Francese, come organo del tutto, ma senza il consenso particolare degli abitanti, e l'espressione dei loro sentimenti intorno alla loro vera nazionalità ed al nuovo vincolo politico cui si assoggettavano. Essi vennero ceduti e dichiarati sudditi dell'Impero Germanico, senza, anzi contro la loro volontà. Non parliamo ora di ciò che si è fatto più tardi nel Congresso di Berlino del 1878.

12. L'Italia aveva dato, pochi anni innanzi, un esempio più liberale e civile. Cominciatasi a costituire la nostra patria in nazione una coll'annessione della Lombardia, e quindi dei Ducati, della Romagna e della Toscana, la Francia, che pare avesse ciò convenuto a Plombières col Cavour nel 1858 in caso dell'acquisto del Lombardo-Veneto, e che perciò non ne aveva fin allora reclamato l'esecuzione, essendosi arrestati a Villafranca, quando il Regno si estese fino agli estremi limiti delle Romagne e della Toscana, domandò la cessione della Savoia e di Nizza. Essa si fondò per verità, come apparisce dallo stesso preambolo del Trattato, sui vecchi principii di equilibrio politico, e quindi di compensi territoriali per gli acquisti fatti dalla Sardegna, principio contestabilissimo, ma che non crediamo di discutere (1). Cavour invece in Parlamento motivò il suo consenso sul principio di nazionalità su cui si andava ricostituendo l'Italia.

Sulla Savoia non vi era alcun dubbio. Culla dei nostri gloriosi re, da secoli e secoli il suo destino era stato unito a quello del popolo di qua delle Alpi; insieme avevano combattuto, sofferto, perduto e vinto; avevano avuto le stesse leggi, le stesse glorie, le stesse fortune e le medesime sventure, le stesse gioie e gli stessi dolori. Pure i figli della Savoia abitando una terra di là delle Alpi, di là dei confini della nostra nazionalità, parlando un'altra lingua, l'Italia senti che non era giusto mantenere più oltre un tal vincolo; la condizione dei Savoiardi era ben diversa nella unione a un regno d'Italia da quella che era a un regno

(1) Io l'ho alquanto discusso nel citato studio sul Trattato di Santo Stefano e il Diritto pubblico europeo. (Nuova Antologia, 15 aprile 1878.)

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subalpino. E checchè costasse al re, prima di tutto, per gli antichi vincoli col popolo di oltre Alpi, ed alla nazione intera il distaccarsi politicamente da quel forte popolo, la separazione pareva bene inevitabile e giusta, e non poteva essere seriamente contestata.

La questione era ben diversa per Nizza. Posta allo estremo limite dell'Italia, fra le due nazioni, da secoli datasi spontaneamente alla Casa di Savoia, collocata dai geografi entro i confini d'Italia, popolata da un popolo misto se si vuole, ma che sentiva altamente la sua nazionalità italiana, una tal cessione doveva essere contrastata come un'offesa a quel principio di nazionalità su cui la nuova Italia si veniva formando.

Senza alcun dubbio, Nizza fu dovuta cedere, perchè un tal sacrificio fu giudicato da un giudice politico competente qual era Cavour, inevitabile per l'annessione dell'Italia centrale e quindi per la ricostituzione d'Italia; e questo sentimento d'inevitabilità fece consentirvi il Re e il Parlamento. Tuttavia si deve notare, a luce del nostro diritto pubblico internazionale, che la cessione non si reputò valida, nemmeno, come prescrive soltanto lo Statuto, coll'approvazione del Parlamento, ma si stipulò nel trattato il consentimento dei popoli che si cedevano. «È inteso, si legge nell'art. 1, fra le Loro Maestà, che questa riunione sarà effettuata senza alcun costringimento della volontà delle popolazioni, e che i Governi del re di Sardegna e dell'imperatore dei Francesi si concerteranno al più presto possibile sui migliori mezzi di apprezzare e di constatare le manifestazioni di questa volontà ».

Principio, questo del 1860 comparato a quello del 1871, tanto più notevole, che potendovi essere dei dubbii per la Savoia, se meglio preferissero l'antica fraternità col popolo cisalpino o le ragioni della nazionalità geografica; ed essendovi le più gravi contestazioni in Italia e in Francia sulla vera nazionalità dei Nizzardi, l'unico principio giuridico atto a risolvere pacificamente la controversia era il voto degli abitanti.

Vero è che il modo col quale s'interrogò quel popolo e si prese quel voto dette luogo alle più gravi accuse, e parve piuttosto un inganno. Ma tutto ciò ha potuto essere il vizio dell'applicazione, potrà dar luogo a contestazione sul valore effettivo di quel plebiscito, in quella forma, senza le guarentigie che sarebbero state richieste; ma in diritto non può mettersi in dubbio che è un grande onore per la nuova Italia di essersi fondata sulla spontaneità nazionale; di avere acquistato e perduto dei cittadini e dei territorii, non per semplici cessioni e trattati di principi e di Parlamenti, come se fossero greggie, che si trasmettono dal padrone e che debbono subirne la volontà, ma per voto degli stessi popoli acquistati o perduti. La presente Germania, con tutte le sue glorie, ai nostri occhi ha il torto di aver fatto dietreggiare il diritto pubblico nel 1871, tornando ai precedenti abusi e disconoscimenti della dignità umana dei popoli.

13. Sulle linee di confine definitive ci è poco ad aggiungere dal lato giuridico. Conforme a ciò che si era stipulato nei detti trattati, si nominarono dalle due parti delle commissioni miste. Quindi, in applicazione dell'art. Iv del citato Trattato di Vienna, l'Atto finale di confinazione tra l'Italia e l'Austria del 22 dicembre 1867, quello di Riva del 7 dicembre 1871, e l'altro di Darzo del 28 luglio 1874, nonchè in applicazione del Trattato di Torino, la Convenzione di delimitazione colla Francia del 7 marzo 1865, e quella di Roma del 10 dicembre 1874 sul confine rispettivo nell'interno della galleria del Moncenisio. I vizii del confine italiano coll'Austria derivano dal principio sancito nel Trattato di Vienna della cessione del precedente Regno Lombardo-Veneto, nei suoi confini amministrativi, senza alcun riguardo alle ragioni dei limiti naturali e morali, geografici ed etnografici; non si ebbe nemmeno riguardo all'Isonzo, che poteva essere un confine meno irrazionale; i successivi atti citati non han potuto che raffermare il vizio originale.

Noi non crediamo nemmeno necessario di dissertare intorno all'art. II del trattato di cessione della Savoia, per lo quale essa venne trasferita alla Francia, alle condizioni alle quali la possedeva il re di Sardegna; cioè col vincolo della neutralizzazione di certe parti confinanti colla Svizzera, stabilito dalle Potenze di Europa nel 1815 (1). Il principio è pienamente conforme al diritto internazionale. Vero è che si stipulava doversi l'imperatore dei Francesi intendere in argomento colle Potenze del Congresso di Vienna, e certo vi è differenza fra un vincolo simile imposto alla Sardegna oppure alla Francia. Ma ciò non ci pare una questione che meriti da noi una particolare disamina. Ci basta notare che un tale obbligo di neutralizzazione è passato dai re di Sardegna alla nuova sovranità territoriale. L'Italia ormai non ha in ciò alcun dovere diretto, salvo quello corrispondente al suo diritto di propria conservazione e di tutela del diritto pubblico europeo.

(1) Atto citato del Congresso di Vienna, art. XCII: Les provinces du Chablais et du Faucigny, et tout le territoire de Savoye au nord d'Ugine, appartenant à Sa Majesté le roi de Sardaigne, feront partie de la neutralité de la Suisse, telle qu'elle est reconnue et garantie par les Puissances.

• En conséquence, toutes les fois que les Puissances voisines de Suisse se trouveront en état d'hostilité ouverte ou imminente, les troupes de Sa Majesté le Roi de Sardaigne qui pourraient se trouver dans ces provinces, se retireront, et pourront à cet effet passer par le Valais, si cela devient nécessaire; aucunes autres troupes armées d'aucune autre Puissance ne pourront traverser ni stationner dans les provinces et territoires susdits, sauf celles que la Confédération suisse jugerait à propos d'y placer; bien entendu que cet état de choses ne gêne en rien l'administration de ces pays, où les agents civils de Sa Majesté le roi de Sardaigne pourront ainsi employer la garde municipale pour le maintien du bon ordre ».

14. Molti altri punti degni di grande considerazione hanno in verità i sopraddetti tre grandi trattati. Noi non parliamo delle clausole sulla immediata restituzione dei prigionieri da una parte e dall'altra, dell'amnistia dei sovrani per i fatti anteriori alla pace, del richiamo in vita dei vecchi trattati; sono disposizioni civili ed umane, comuni ai trattati di pace odierni.

Intendiamo di avvertire particolarmente l'equità, almeno nel principio giuridico (non crediamo di nessuna utilità discuterne le applicazioni), con cui si sono risoluti i problemi sorgenti dalla divisione degli Stati, dagli acquisti e dalla perdita delle provincie; in ordine ai loro debiti e contratti precedenti, alle loro proprietà pubbliche, agli oggetti di arte, ai loro archivii amministrativi e giudiziarii, alle pensioni e simili. Notiamo che nel Trattato di Zurigo (art. v-vi) si posero a carico della Sardegna i tre quinti del Monte Lombardo-Veneto (liquidazione che ebbe luogo mediante la Convenzione, qui riportata, di Milano del 9 settembre 1860) e 40 milioni di fiorini del prestito nazionale austriaco del 1854; sebbene quest'ultimo si potesse rifiutare, trattandosi di un prestito cui i Lombardi non avevano consentito, e che certamente non era stato fatto in loro vantaggio.

Nel 1866 (art. vi e vii) l'Italia assunse a suo conto, com'era naturale, gli altri due quinti dell'antico Monte Lombardo-Veneto, e 35 milioni di fiorini del prestito citato del 1854, comprendendo in essa somma il valore del materiale militare delle fortezze non trasportabile.

Due altre convenzioni dipendenti da questo trattato meritano di essere segnalate e sono quelle di Firenze del 6 gennaio 1871 coi protocolli relativi. Esse han definito fra l'Italia e l'Austria le vertenze finanziarie sorgenti dai citati articoli vi e vII, e quelle procedenti dall'art. xxII concernenti la proprietà, i crediti e le ragioni di ordine privato dei membri della Casa imperiale e reale austriaca; principio notevole, anche perchè vi è implicita l'acquiescenza di essi membri, principi delle spodestate case austriache di Modena e di Toscana, al presente regno d'Italia.

Per lo stesso principio la Francia (art. Iv del trattato di Torino) as sunse una certa parte del debito pubblico sardo, determinata poi dalla Convenzione di Parigi del 23 agosto 1860 nella somma di 4,500,000 lire di rendita sarda cinque per cento. Questa Convenzione defini ancora molte altre questioni sorte dalla detta cessione della Savoia e di Nizza, in ordine. alle pensioni civili e militari, alla Cassa ecclesiastica, al materiale e ai mobili di proprietà del Governo sardo nei paesi ceduti, ai contratti di esso, alla Banca di Annecy, allo scambio di titoli e di documenti e ad altre esigenze giudiziarie, commerciali ed amministrative.

15. Si può notare ancora l'equità con cui il Governo nostro succedette all'austriaco nelle attività e passività, « nei diritti e negli obblighi risultanti da contratti regolarmente stipulati dall'amministrazione austriaca per

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