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mente le chiese prive de' sagri pastori, e le anime abbandonate senza alcuno aiuto spirituale. La difficoltà consiste nel modo di eseguire la nuova divisione delle diocesi. Nell' ipotesi, che i vescovi emigrati tornino al libero esercizio del sagro loro ministero, bisognerebbe che rimanessero tante chiese vescovili quante corrispondano al numero de' vescovi attualmente viventi; e se mai, dopo aver esauriti tutti i mezzi, si fosse costretti a restringerle ancora maggiormente, sicchè qualche prelato restasse escluso, sarebbe giusto che venisse a questi assegnata una congrua pensione, e che accadendo la morte di qualcuno de' vescovi ripristinati, fossero i prelati medesimi preferiti a chicchessia nella provvista delle chiese vacanti. Sarebbe però sempre cosa dolorosissima, che tornando la massima parte de' vescovi all' esercizio del S. ministero, alcuni soltanto rimaner dovessero senza chiesa e senza diocesi; e bisognerebbe che il Santo Padre si studiasse di confortarli a soffrire in pace questa privazione, e li animasse colla promesssa di provvederli alle prime vacanze.

Ottimo partito sarebbe pur quello di procedere per via di unioni, affinchè rimangano salve alla meglio le prerogative e i diritti delle respettive cattedrali, anco colla mira, che venendo tempi migliori, possano con tutta facilità ripristinarsi i vescovadi sul piede in cui erano prima della Rivoluzione.

È facile per altro, che Bonaparte voglia l'esecuzione dell' antico decreto dell' Assemblea sulla divisione e unione delle vecchie diocesi, col ridurre alcuni arcivescovati a semplici vescovati; e anco a questo potrà condiscendersi quando non vi sia altro scampo. Ma sarà necessario pur esaminarlo, facendo intendere allo stesso Bonaparte, che quanto il Santo Padre è disposto ad usare la maggior condiscendenza, affinchè si abbiano le più decise riprove del sincero suo desiderio per la pace e per l'unità, altrettanto si reputa obbligato a procedere giusta le prescrizioni de' S. canoni.

Rimane ora a discutersi l'articolo de' beni ecclesiastici alienati. Espone Bonaparte, che la rivendicazione dei medesimi « riuscirebbe affatto impossibile, e getterebbe la nazione intera in nuovi sconvolgimenti. » Quantunque non richieda egli esplicitamente su di ciò alcuna provvidenza, pure essendo facile che se n'introduca discorso, è bene che il ministro pontificio sia munito

e

di istruzioni analoghe all' oggetto. Dal conciliar questo affare può dipendere in gran parte il buon esito di tutta la trattativa, quante volte lo alzar la mano, e il non pensar più al pingue patrimonio delle chiese di Francia fosse un mezzo veramente efficace, e necessario per ivi ristabilire la cattolica religione, dovrebbe farsi volentieri un tal sagrifizio.

Sulle prime potrà piantarsi lo stabilimento di qualche metodo, perchè almeno ciascheduno sia in libertà di restituire i beni ecclesiastici, agevolando la strada con una intera condonazione de' frutti percetti.

Quando però non volesse aderirsi a questo partito, sarà inevitabile lo usare maggiore indulgenza, estendendosi per fino non solamente all' assoluzione delle censure, ma ben anco alla sanazione di qualunque contratto, e alla condonazione totale delle sorti principali, e dei frutti. Così praticarono tante volte i Romani Pontefici in casi consimili, o di riunione di nazioni alla fede cattolica, o di ritorno degli eretici all' unità. Ne riporta più esempi la Sa. Me. di Benedetto XIV, nelle due celebri lettere su i quesiti dell'arcivescovo di Antivari, la prima dei 19 marzo 1753...., la seconda dei 24 maggio 1754... Gioverà il riferire qui due dei citati esempi, desunti della prima di dette lettere... Quando il cardinale Polo, sotto il governo della regina Maria, fu spedito in Inghilterra per la riconciliazione di quel regno alla Chiesa cattolica, Giulio III, con breve delli 8 marzo 1554, gli concesse facoltà di concordare con quelli, che avevano ingiustamente occupato i beni ecclesiastici, e che tornavano al seno della S. Chiesa. Dubitandosi poi, che questa pontificia indulgenza fosse troppo ristretta, il Papa, con altro breve dei 28 giugno dello stesso anno, autorizzò il suo legato a poter condonare.

Su questo proposito il cardinale Pallavicini.. riferisce, che l'ambasciatore inglese, trattando col cardinal Polo del di lui ingresso in Inghilterra, avvertillo essere espediente di ottenere dal Papa anche la potestà di liberalmente condonare, e che il Polo, nel rispondere che avrebbe su di ciò procurato dal Santo Padre l'espresso potere, soggiunse: ch' era certo non volere la Santità Sua dall' Inghilterra, se non la salute dell' Inghilterra, e niun' autorità temporale. Accordò il Papa amplissime facoltà col pieno assenso del consistoro. L'effetto della savia

condotta del Polo fu in primo luogo, che la regina partecipogli essere stato nel consiglio conchiuso il negozio << della sua lungamente desiderata venuta, e dell' unione di quel regno alla Chiesa cattolica »; indi che ogni cosa rimase concordata sicchè, raccolti gli Stati coll' assistenza del detto cardinale legato, il gran cancelliere disse, che il Polo era l'angelo dell' Inghilterra, tutti i componenti l'adunanza esecrarono solennemente l'eresia e promisero ubbidienza al Romano Pontefice, e per ultimo furono discacciati i pastori infetti dalle chiese, e rimasero queste provviste di zelanti vescovi cattolici...

Non sarà superfluo il rilevare, che lo stesso cardinale Polo seppe far uso delle facoltà concessegli, con una plausibile moderazione e con grande destrezza. Egli assolvè dalle censure i detentori dei beni delle chiese, condonò loro i frutti percetti, dichiarò che in nessun tempo potessero essere molestati nè privati de' beni medesimi: ma non quietò del tutto le loro coscienze; anzi dichiarò, che sebbene avesse egli rilasciato indistintamente a tutti le cose mobili delle chiese, pure doveva rammentare ai detentori dei vasi sacri la severità del divino giudizio contro Baldassare, re di Babilonia, eccitandoli con ciò a restituire i vasi sagri, ed esortando poi ad un tempo chiunque ritenesse i beni ecclesiastici a rendere almeno quegli spettanti ai personali, ai vicariati, come pure alle cattedrali, ed alle altre chiese inferiori tuttavia esistenti, cui fosse annessa la cura d'anime.

Potrebbe, quando riesca, farsi altrettanto dal ministro pontificio, affinchè rimanesse sempre la speranza di veder restituite alla chiesa di Francia le antiche sue possessioni. Ho detto, quando riesca, poichè restando sempre fissa la massima, che per ripristinare la religione cattolica in Francia, giovi il fare qualsivoglia sacrificio, non dovrà rompersi la trattativa, anco nel caso che non si volesse ammettere discorso sulla restituzione dei beni ecclesiastici alienati.

Questa facilità verrebbe autorizzata da un esempio piu recente, qual' è quello di Clemente XI. Volendo egli eccitare Augusto II, re di Polonia, alla propagazione della fede cattolica ne' suoi stati di Sassonia, con lettera dei 10 novembre 1712.. così gli scrisse... Queste promesse vennero adempite dal suo successore Clemente XII, il quale nella costituzione « Sedes Apostolica », a

quei Sassoni, che possedendo beni già appartenenti alle chiese o abiuravano, o fossero per abiurare l'eresia, concesse di poterli ritenere, e di disporne liberamente come di cose proprie, e condonò loro tutti i frutti in addietro percetti.

Gli accennati esempi si sono riferiti, per dimostrare fin dove giunger possa in certi casi l'indulgenza della Santa Sede; ma il ministro pontificio non dovrà per questo mostrarsi troppo liberale senza un preciso bisogno, e molto meno dovrà procedere ad atti irretrattabili, contentandosi unicamente di esporre lo stato delle cose al Santo Padre per attendere da lui le convenienti determinazioni. Forse un partito conciliatorio sarebbe quello di ammettere a composizione i detentori de' beni ecclesiastici, che s'indurrebbero più facilmente a restituirne una porzione; e per tal guisa ricupererebbero le chiese una parte dell' antico loro patrimonio, e i suddetti detentori rimarrebbero con buona coscienza al pacifico possesso dell' altra parte de' beni acquistati.

Ho voluto trattare diffusamente questo articolo, per dir quanto basta su di un oggetto per tutti i riflessi assai spinoso. Non tacerò per altro, che se potesse evitarsi di entrare su di ciò in discorso col governo francese, sarebbe cosa ottima, contentandosi tutt' al più di accordare una generale assoluzione dalle censure, e riservando poi ad un particolar giudizio della Santa Sede le composizioni, o condonazioni, che la medesima giudicasse opportuno di concedere secondo la diversità de' casi e delle circostanze. La mia renitenza nasce principalmente dal riflesso che ad onta delle generose condonazioni in tal genere, l'Inghilterra, dopo brevissimo tempo, separossi nuovamente dalla cattolica unità, e la nostra S. religione non fece molti progressi in Sassonia.

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Quantunque pochi siano gli oggetti de' quali si parla nell' articolo della lettera dell' Emo Martiniana, pure nell' atto della trattativa si presenteranno senza dubbio a discutersi molti altri punti.

È troppo difficile l'indovinare quali siano per essere, ma affinchè il ministro pontificio non si trovi in secco, e possa rettamente

disimpegnare la sua incombenza, sarà proficuo il fornirgli una copia de' brevi, e altre carte pubblicate per gli affari ecclesiastici di Francia sotto il pontificato della Sa. Me. di Pio VI. Tali brevi gioveranno, se non altro, a fargli conoscere tutto ciò che la Santa Sede ha definito circa gli scismatici, e gl'intrusi, e quanto ha risoluto su i diversi giuramenti, che ne' vari tempi vennero proposti al clero.

Caderà poi senza alcun dubbio nella trattativa l'articolo dei ministri del culto cattolico, e gioverà il discorrerne espressamente, poichè nella Francia vi sono rimasti assai pochi preti non giurati; e come per una parte è impossibile il riordinare gli affari ecclesiastici, e il provvedere agli spirituali bisogni de' fedeli, massime dopo un si orribile sconvolgimento, senza un numero proporzionato di sacerdoti, così dall' altra parte se dovessero i vescovi incominciare ora le ordinazioni, passerebbe molto tempo prima che le chiese rimanessero provviste d'idonei ministri. Ne nasce da ciò la conseguenza, che dovrebbero ricondursi in Francia i preti emigrati, e singolarmente i parrochi; e se il governo si opponesse a un generale richiamo de' medesimi, converrebbe fissarne almeno un certo numero, e sceglier quelli che secondo il giudizio de' vescovi si credessero i più adattati, e che non fossero sospetti alla podestà che comanda.

Com'è facile il dimostrare l'assoluta necessità del clero, quando si voglia ripristinato il culto cattolico, così è agevolissimo il far comprendere al governo, che i ministri del santuario debbono aver qualche cosa d'onde cavare il loro sostentamento. Convien preferir sempre i fondi stabili; e quando questi o venissero assegnati dal governo, o fossero in parte restituiti da chi attualmente li ritiene, potrebb' essere cura de' vescovi il fissare un metodo per l'amministrazione de' medesimi, e per il riparo delle rendite a sussidio del clero e delle chiese, finchè, assestate alquanto le cose, possa in seguito adottarsi un sistema più stabile per una giusta divisione di detti fondi, assegnando a ciascheduno la sua tangente.

Se il governo, in mancanza di stabili, proponesse di supplire con delle pensioni, bisognerebbe mostrarsene contenti; e quando pur non volesse in conto alcuno fornire i mezzi per la sussistenza del clero, sarà sempre meglio che vi siano in Francia de' S. mi

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