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Pur troppo sorse così e venne alimentandosi, anche nei giuristi di altri tempi, quel certo disdegno del processus iudiciarius, che relegò la materia nelle mani dei pratici e le precluse, sin quasi a questi ultimi due secoli, ogni àdito a uno sviluppo scientifico, lasciando sino ai nostri giorni tracce visibilissime e diffuse persino nell'insegnamento universitario.

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Ancora dieci anni or sono, in qualche Università si faceva questione se la procedura fosse una scienza od un' arte, e si cercava di tenere una via intermedia fra le esigenze scientifiche e quelle pratiche, dichiarando che la « procedura non può ritenersi, come scienza, nè come pratica. La scienza puramente considerata si aggiungeva è semplice speculazione, e la pratica per sè non è che ripetizione di atti, abitudine di fare: e la procedura non è una contemplazione di principii nè una ripetizione di atti: essa è un' arte, mercè cui il diritto diviene fatto, e lo diviene si spiegava subito per senso di necessità scientifica con un metodo razionale, perchè proporzionato allo scopo. E questa trasformazione, del certo del diritto in via del diritto, vuole assolutamente una teoria, ma è la teoria dell'opera, è l'arte, la quale parte ancor essa dalla scienza, perchè l'opera sia uniforme alla medesima » (1). Qui poi il giurista si sentiva a disagio nell'ibridismo della concezione con cui rendeva omaggio a un preconcetto volgare e finiva col dire che la procedura era una scienza guardata dal lato pratico. «È in questo compenetrarsi della scienza e della pratica, per cui ogni fatto diviene razionale ed ogni ragione resta tale solo quando non è smentita dal fatto, che noi si conchiudeva riscontriamo il vero progresso nella scienza in generale, nelle discipline giuridiche in particolare, specialmente poi nella procedura, in cui i principii sono guardati per la loro attuazione pratica (2).

Come segno dei tempi in cui si era formata, questa concezione è significantissima, poichè partiva dalla mente di uno dei nostri più colti e più acuti studiosi di diritto processuale, e quasi si contrapponeva alla vasta sistemazione scientifica che egli stesso aveva intraveduta della materia, quando stava per intitolare il suo Commento sistematico, come Sistema dell'attuazione del Diritto.

Oggi una disquisizione rivolta ad accertare se la procedura sia un' arte o una scienza, difficilmente costituirebbe argomento per qual

(1) VITI, Istituzioni di diritto giudiziario vivile, vol. II, Napoli 1884, pag. 9 seg.

(2) VITI, op. e loc. cit.

che lezione di un vecchio professore d'antico stampo; e ad ogni modo apparirebbe come la sopravvivenza d' idee che hanno già fatto il loro tempo al pari dei magnifici ma inutili e frondosi discorsi medioevali sul bello o sull' onore o magari sul tenero, di cui tanto si compiace. la preziosa Rossana nel fortunato dramma cavalleresco di Edmondo. Rostand.

Allora, invece, il mezzo termine dell' arte, come nozione del processo civile, era una concessione alla così detta « logica positiva della vita», al dominante senso di male inteso positivismo, che voleva essere, per la procedura civile, una prova di forte ed assodato buon senso, una profonda ed acuta percezione della realtà delle cose, una avversione decisa per ogni orientamento teorico. E questo sentimento si compendiava, come ancor oggi per taluni si compendia, nella reboante intensità delle rafforzate consonanti della parola « pratica », che dovrebbe essere la parola dell' enigma per ogni questione di procedura e per il disbrigo di tutto lo svolgimento giudiziario.

Fortunatamente ora i tempi sono da parecchio mutati. Il diritto processuale civile, con la elaborazione nostra e straniera, e sopra tutto per effetto della ricca letteratura tedesca, è riconosciuto indiscutibilmente quale scienza, anzi quale forse la più ardua delle scienze giuridiche; non più quindi come una intrusione della pratica nella teoria, non più come una disciplina vivente di credito dalle scienze affini, secondo l'antica frase del Wetzel (1), non più infine come un accessorio o una pertinenza degli altri diritti, ma, con tutta evidenza di realtà innegabile, come scienza autonoma, più difficile e più complessa delle altre, più degna ormai, dopo il lungo abbandono, dello studio profondo e sistematico da parte di ogni moderno cultore di questa disciplina giuridica.

Ora s'insiste in particolar modo sull' applicazione di un metodo rigorosamente scientifico alla nostra materia; vengono, quindi, in campo le questioni sull' indirizzo pubblicistico o privatistico da dare allo studio del processo civile e alla soluzione di molti punti controversi. Si accentua la necessità di determinare per quali sfumature concettuali il << metodo critico » nei nostri studi differisca dal « metodo storico » (2), in quali limiti il criterio pubblicistico e quello privatistico possano influire non solo sul sistema ma anche sull'interpretazione evolutiva

(1) System des ordentlichen Civilprocesses, 1878, pag. 330.

(2) MORTARA, Commentario del cod. e delle leggi di proc. civ., vol. I. Prefazione.

delle norme riguardanti singoli istituti; e infine in qual senso possa dirsi che adesso si vien meglio lumeggiando « la posizione centrale del processo civile fra gli istituti del diritto privato e del pubblico e i nessi che da ogni lato lo stringono agli uni e agli altri » (1).

Di fronte allo stato attuale della nostra scienza, tali questioni di metodo e d'indirizzo, come si scorge anche da un semplice accenno, s'impongono quali presupposti fondamentali e imprescindibili per uno studio completo ed efficacemente pratico del processo civile. Il porre quindi in chiaro le basi stesse dello svolgimento processuale non deriva da quella tendenza all'astrazione che così spesso, e talvolta non a torto, si suole rimproverare alle nostre menti meridionali, non è l'effetto di quel così detto « virus filosofico » che nella giocondità della frase provoca il buon umore degli eunuchi intellettuali, quando, intorpiditi dal loro cieco empirismo, non vedono e non possono vedere i nessi di causalità e di coordinazione tra i fenomeni sociali e sopra tutto tra i fenomeni giuridici. È invece una necessità pratica di primo ordine, poichè dalla soluzione di questi grandi problemi dipende, per connessione strettissima, la soluzione delle più importanti controversie disseminate già o insorgenti dal vivaio fecondo di nuovi casi concreti nel processo civile.

Tale importanza delle questioni di metodo si afferma sempre in più larga sfera (2), e si è andata in questi ultimi tempi ricollegando in particolar modo, con accenni diretti o indiretti, all'indirizzo pubblicistico o privatistico da serbare nella nostra materia. La ricerca, che sinora, per quanto io sappia, non ancora ha formato oggetto di appositi studi speciali, si presenta come preliminare ad ogni altra e domina la concezione giuridica dell' intero campo processuale. Essa infatti influisce sulle principali nozioni di questa vasta branca del diritto: dall'esistenza o inesistenza di una ragione a tutela giuridica verso lo Stato, allo scopo di attuare il diritto obbiettivo o subbiettivo nel processo; dal concetto svariatissimo e controverso di azione, al principio di disposizione delle parti nel processo; dall' ammissione o esclusione di un contratto giudiziale, ai limiti e all'efficacia delle rinunzie processuali; dal principio dell'acquisizione processuale, alle eccezioni di parte e alle eccezioni di ufficio; dal concetto di un negozio giuridico processuale alla teoria così variamente intesa dei rapporti processuali in

(1) CHIOVENDA, Saggi di diritto processuale civile, Bologna 1904. Prefazione. (2) Si veda ora per il campo penale il pregevole studio del MASSARI, Il processo penale nel Filangieri, 1906, n. 4, pag. 244 sgg.

genere; e infine dall' esegesi privatistica all' esegesi pubblicistica delle singole norme di procedura contenute nei nostri codici.

Se da tutti questi molteplici nessi, la ricerca non apparirà di essenziale importanza pratica, la colpa sarà mia e non della bella questione; così che mai potrebbero aver ragione quegli antichi praticoni, per fortuna già quasi scomparsi, secondo i quali l'insegnamento universitario della procedura civile dovrebbe ridursi a un corso, a dirittura meccanico, di preparazione per gli ufficiali giudiziari.

2. Naturalmente, poichè qui non si tratta di fare indagini astratte, la questione deve essere esaminata in rapporto a un determinato sistema di diritto positivo. Infatti, anche prima di affrontare la questione, è anche troppo chiaro, che la concezione del processo civile e dei relativi istituti debba necessariamente corrispondere alla tradizione storica e alle condizioni legislative di un dato popolo in una data epoca.

Ora, lasciando da banda il processo attico, per il quale ci potrebbe fornire degli abbondanti elementi anche il vecchio e pur sempre buon libro del Platner (1), e riflettendo che le antiche istituzioni giudiziarie greche non ebbero troppi punti di contatto con quelle di Roma, ci contenteremo di un semplice accenno al modo in cui la questione si delineava nel mondo giuridico romano. I giureconsulti romani sono stati sempre considerati come gente pratica per eccellenza; e il mostrare anche fugacemente quale piega prese per essi la nostra questione, nel concreto svolgimento del processo, potrà forse risparmiarmi questa volta l'appunto che gli stranieri spesso muovono a noi altri italiani per la tendenza a risalire troppo lontano e a cesellare troppe origini nelle nostre ricerche.

Come per noi moderni, così anche pei romani la distinzione fra diritto pubblico e diritto privato non ha soltanto importanza sistematica, ma anche e sopra tutto importanza pratica, per l'evoluzione dei singoli istituti giuridici e per la risoluzione delle singole controversie. Anzi-come assai bene rileva l'illustre Pernice, che su questo punto della nostra questione ha istituito pochi anni or sono le sue acute indagini-la distinzione assumeva anche un maggior rilievo per la speciale concezione del diritto pubblico nel mondo romano (2).

(1) Der Process und die Klagen bei den Attikern, Darmstadt, 2 volumi, 1824-1825.

(2) PERNICE, Parerga in Zeitschrift der Savigny Stiftung für Rechtsgeschichte, Weimar, 1898, pag. 140 sgg.

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Certo nota lo stesso Pernice la questione sul ricollegamento
del processo civile al diritto privato o al diritto pubblico, non è stata
mai posta dai romani così come ce la poniamo noi attualmente, ma
tutta la divisione del procedimento classico è tale che sembra natu-
ralmente inclinata a ricollegarsi col diritto privato. Già sta in fatto
che alcuni istituti, mentre appartengono al diritto pubblico servono
esclusivamente o principalmente all' utilità del singolo; e fra questi
istituti era da comprendere anche per diritto romano il processo ci-
vile con tutto ciò che vi si riferisce. Invero qui si tratta dell' accer-
tamento e dell' attuazione di diritti privati, con sanzioni per la loro
violazione, e alle parti è riservato un largo àmbito di disposizione. La
divisione stessa fra ius e iudicium permetteva che il rapporto giu-
ridico si svolgesse più per un potere intercedente fra le parti che per
un potere ad esse sovrastante. Soltanto, se una parte desisteva dalla
sua attività processuale durante lo svolgimento del processo, era com-
minata dalla legge una ben grave pena: la perdita della causa.

Per tutto il resto il giudice restava un po' alla mercè delle parti,
e il processo medesimo restava prevalentemente affidato alla loro buona
volontà, sino al punto da presentare spesso il carattere di mezzo per
dar luogo a una pronuncia fra tre persone interessate.

In alcuni casi, anzi, il giudice dipendeva dalle proposte e dalle
convenzioni delle parti, come nelle azioni divisorie, per le quali, trat-
tandosi di questioni di limiti e quantità, la soluzione era più del perito
che del giudice.

La concezione privatistica dell'antico processo civile romano andò
sempre più accentuandosi, come appare dall'accordo implicito dei giu-
reconsulti classici, seguiti dai posteriori, su questo punto. Contraria-
mente a quanto afferma il recentissimo Schlossmann col suo libro sulla
<< litis contestatio » romana (1), e rivolto a scalzare i risultati dei pro-
fondi studi del Wlassak, del Lenel e dello stesso Pernice, fu soltanto
negli ultimi tempi che i giuristi romani cominciarono a considerare
insieme col lato privatistico del processo civile, fondato sopra elementi
quasi del tutto contrattuali, anche il lato pubblicistico esplicantesi nel-
l' ordo iudiciorum. Osservare in contrario, come fa lo Schlossmann,

(1) SCHLOSSMANN, Litiscontestatio, 1905, passim. Contro WLASSAK, Liliscon-
testatio im Formularprozess, 1889: LENEL, Zeitschrift der Savigny Stiftung, XV,
pag. 374 seg. Vedi la questione, e particolarmente sul libro dello SCHLOSSMANN,
il recente pregevolissimo studio del DE RUGGIERO, Teorie nuove e teorie vec-
chie intorno alla « litis contestatio», Roma 1905 (estratto dal Bullettino del-
l'Istituto di diritto romano, anno XVII, fasc. IV-VI) e autori ivi citati.

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